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Idlib mette in crisi l’intesa tattica tra Erdogan e Putin? Report CeSI

La crisi scattata per l’offensiva lealista sulla roccaforte di Idlib ha messo in difficoltà le relazioni tra Turchia e Russia che negli ultimi anni si sono rafforzate attorno alla questione siriane e poi diventate un rapporto più ampio e strutturato, sulla base del quale sono state superate incomprensioni e distanze, facendo forza su una buona intesa tra i due leader, Vladimir Putin e Recep Tayyp Erdogan. “Siamo alla resa dei conti?”, si chiede Lorenzo Marinone in un report preparato per il CeSI in cui si ricostruiscono gli elementi di questa relazione messa sotto stress dagli eventi degli ultimi.

Un punto cardine di queste relazioni è il cosiddetto processo di Astana, ossia l’iniziativa teoricamente-negoziale con cui Putin ha incluso la Turchia in un sistema internazionale – assieme a Teheran e Damasco – per parlare del futuro della Siria, costruito in forma criticamente alternativa al piano di colloqui dell’Onu. “A dispetto del nome, il processo di Astana non è mai stato un vero percorso negoziale, basato su passi incrementali, inclusione progressiva di altri attori rilevanti”, scrive Marinone, ma “è stata più che altro l’espressione di una volontà (e convenienza) politica reciproca, ma troppo spesso di livello tattico e sconnessa dalla realtà sul campo e dall’evoluzione della crisi”.

“La chiave di volta del processo, ovvero l’accordo di Sochi di ottobre 2018, è emblematico in questo senso – spiega l’analisi del CeSI – Dopo aver creato una cornice per un cessate il fuoco e una zona demilitarizzata a Idlib, l’intesa è stata ripetutamente violata decine se non centinaia di volte fin dalla sua entrata in vigore. A tenere vitale l’accordo di Sochi e l’intero processo di Astana, dunque, è un mero calcolo tattico, maturato alla fine del 2016 ad Ankara come a Mosca”.

La Turchia voleva mantenere un piede in Siria, dossier molto importante a cui si legano aspetti di carattere interno. Come per esempio la questione dei curdi, che sul territorio siriano intendevano costruire uno stato indipendente – il sognato Rotava – approfittando del successo ottenuto liberando quelle aree dall’occupazione baghdadista. Un piano detestato da Erdogan, che considera i curdi siriani alleati dei cugini turchi, nemici giurati, e che vedeva quell’evenienza come un precedente per le rivendicazioni interni. O ancora la questione immigrazione, connessa a quella curda: sostituire la popolazione che vive le terre di confine con i profughi che il conflitto siriano aveva spostato in Turchia è un piano di ingegneria etnica che risolverebbe contemporaneamente sia il problema curdi che quello immigrazione.

“Dal canto suo, la Russia ha concepito Astana e Sochi come strumenti per sfrondare l’affollata diplomazia internazionale che gravita attorno alla crisi siriana e, soprattutto, dotarsi di un formato ritagliato su misura che assicuri al Cremlino di restare saldamente al centro della scena”, scrive Marinone. Il dossier siriano è stato sfruttato da Putin come una leva per testare la propria forza internazionale – e contemporaneamente come un asset per disarticolare l’influenza occidentale creandosi uno standing in Medio Oriente dal valore muscolare da poter spendere con gli attori regionali, come i regni del Golfo o Israele. Allo stesso tempo, agganciare la Turchia era un utile strategia per alterare gli equilibri all’interno della Nato e colpire ai fianchi l’Ue con la chaos-strategy prodotta dall’immigrazione.

“Come era già chiaro dall’inizio, il punto di caduta dell’impalcatura di Astana è proprio la questione di Idlib. In questa provincia si intersecano due spinte opposte e incompatibili”, aggiunge Marinone. Ankara vuole difendere l’exclave siriana su cui esercita influenza tramite il sostegno ai gruppi dell’opposizione assadista – e in contemporanea vuole evitare scombussolamenti sull’immigrazione e difendere il piano progettato per quelle aree di confine. La Russia vuole perfezionare il suo impegno siriano che ruota attorno a due postazioni strategiche che si trovano nella provincia di Latakia, sbocco sul mare a ovest di quella di Idlib: la base navale sul Mediterraneo a Tartus e quella aerea di Hmemim.

Per Marinone, “gli accordi russo-turchi su Idlib sono soltanto una parentesi e non costituiscono in alcun modo un possibile germe per un dialogo più ampio sulla conclusione del conflitto nelle sue dimensioni politiche, economiche e sociali”, stando anche all’incongruenza tra i reciproci obiettivi. “Va notato, quindi, che l’instabilità di alleanze tattiche come quella russo-turca può avere un impatto imprevisto su attori terzi, come l’UE e singoli Paesi europei. La risultante di tutto ciò sono crisi in cui alcuni degli attori coinvolti si vedono preclusa la possibilità di prendere realmente parte alla loro gestione, a prescindere dal loro peso geopolitico”.



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