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Se non cresce l’industria non migliora il Pil

“Dov’è la politica industriale in Italia e chi la fa?”. Lo ha chiesto Paolo Reboani direttore generale del ministero del Lavoro agli ospiti della tavola rotonda che hanno dibattuto davanti a 40 corsisti della Scuola di Studi Avanzati di economia e lavoro della Uiltec riuniti nella sala master del Palazzo del Capitano a Montepulciano in provincia di Siena. La prima risposta è giunta da Michele Faioli, direttore scientifico della suddetta scuola, un docente universitario che si è definito “giurista del lavoro e riformista in tal senso”. “Questo workshop giunge nel tempo adatto e ribadisce come sosteneva John Henry Newman, santo e filosofo, che l’unica evoluzione sta nella crescita di un sistema e il diritto del lavoro è una scienza che si adatta sempre a sistemi sociali che crescono, come ribadiva in tal senso il Professor Gino Giugni”, ha detto Faioli.

Il professor Reboani, prima di dare la parola al professor Beniamino Quintieri, docente di Economia e Finanza Internazionale presso l’Università romana di Tor Vergata, ha riconosciuto come in Italia manchi una vera e propria politica industriale in grado di sostenere una conseguente crescita a sostegno della ricchezza nazionale. “Il Paese – ha sottolineato Quintieri – registra il più basso tasso di crescita al mondo mentre sul finire degli anni cinquanta era secondo solo al Giappone. Anche il debito pubblico cresce come l’export italiano. È proprio quest’ultimo dato che è in positiva evoluzione dal 2009 ad oggi a rappresentare il vero miracolo italiano. Una costante positiva che si è realizzata grazie ai settori della meccanica strumentale, della chimica e della farmaceutica. Le imprese manifatturiere che esportano in Italia sono oltre il 20% dell’intero mondo produttivo. Si tratta di una catena globale di valore che sostiene una produzione Nazionale che soffre la crisi. A mio giudizio tante forme di politica industriale nel Mezzogiorno hanno determinato enormi danni ed è quindi necessario che la suddetta azione politica si avvalga di ulteriori voci come quella ad esempio di Infrastrutture e Giustizia a sostegno dell’intera Economia Nazionale”.

Dopo Quintieri è stata la volta di Stefano Firpo, direttore generale del Mediocredito italiano che ha chiesto a viva voce politiche serie a favore della competitività industriale: “i dati sono eloquenti – ha sostenuto Firpo – perché la nostra economia presenta i medesimi dati come Pil pro-capite che hanno avuto in regime di guerra la Libia e la Siria. Bisogna dirlo: qui da noi tutt’ora sussiste il tabù delle politiche industriali che si rappresenta nel nostro 0,4% di crescita rispetto all’1,2% che caratterizza la Germania. Questo è il vero spread che dovremmo tenere in considerazione!”

L’economista che ha passato un decennio al fianco di diversi ministri dello Sviluppo Economico a partire dal governo Monti fino al governo Renzi ha ricordato il bisogno di agire sugli investimenti materiali suggerendo di inserire nelle voci delle politiche industriali anche quella della finanza, “perché la ricchezza privata andrebbe impiegata in ambito nazionale anziché essere investita all’estero, così come ora avviene”. E poi, ha continuato il manager del Mediocredito Italiano, è fondamentale agire sugli investimenti immateriali: incentivando la loro ripresa ammodernando i macchinari e generando incrementi di produttività. Purtroppo fino al 2011 tanta politica industriale è stata fatta con leggi di incentivazione e crediti di imposta mentre oggi al dicastero dello Sviluppo Economico si riesce a lavorare grazie ad un unico fondo di sostenibilità.

È fondamentale lavorare sull’immigrazione, sulla capacità di attrazione di investimenti, favorendo le nuove tecnologie, agendo sulla gestione dei processi e sul prodotto finale, sui cambiamenti dei modelli ‘business’ a forme di produzione sostenibili e circolari. Infine, la nostra meccanica strumentale deve lavorare sulla digitalizzazione per cambiare effettivamente il paradigma del settore del manifatturiero. Ma per cambiare effettivamente il sistema occorre dare esecutività alle norme finora approvate affinché non rimangano sulla carta. Bisogna dirlo: il vero problema è il peso delle carenze della Pubblica amministrazione da quando è stato approvato il processo della devoluzione basato sulla riforma istituzione del titolo V riguardante Stato e Regioni”.

Tiziana Bocchi, segretaria confederale della Uil con la responsabilità delle politiche contrattuali ed Industriali, ha annuito nel corso di tutti gli interventi che si sono succeduti e che, a suo giudizio hanno dimostrato come il sistema Paese abbisogni di una consonanza di tutte le forze produttive e del lavoro presenti nella Comunità: “ci vuole una sinergia costruttiva tra le Politiche ambientali e quelle industriali che guardi ad una crescita nazionale e a un’inversione di tendenza nei livelli competitivi che tuttora ci allontanano dagli altri partner europei ed internazionali”.

Paolo Pirani leader della Uiltec Nazionale ed ideatore del master di Studi Avanzati dell’Organizzazione Sindacale, ha chiuso la giornata formativa complimentandosi per l’attenzione prestata dai presenti e dai relatori, ricordando che “gran parte dei giovani sindacalisti presenti faranno parte del futuro gruppo dirigente che giocherà il senso della prospettiva sull’azione sindacale a sostegno soprattutto del lavoro e dell’industria”. Pirani ha chiosato: “senza investimenti materiali ed immateriali a favore dell’industria ed, in particolare, del settore manifatturiero il nostro Paese rischia di implodere e di diventare il fanalino di coda dell’intero Continente. Una sorte inaccettabile e che il sindacato non è disposto ad accettare”. È stato proprio questo il senso della sfida lanciato dalla Uiltec Nazionale nel piccolo Comune della Val D’Orcia dove per due giorni si è fatta un’alta formazione sindacale.

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