La classe operaia non andrà in paradiso, ma in questi anni c’è un’altra categoria di lavoratori (commercianti, artigiani, liberi professionisti, impiegati) che difficilmente vedrà la luce celeste. È il ceto produttivo che si è davvero più impoverito, quello medio, quello di chi dichiara tra i 28mila e i 55mila euro che tra aliquote e addizionali comunali e regionali subisce una pressione fiscale che va oltre il 40%. Ed è su questo che si dovrebbe lavorare per una vera riforma dell’Irpef che punti a rilanciare il potere d’acquisto delle famiglie. Il messaggio che è arrivato dagli Stati Generali dei commercialisti, oltre 1500 professionisti riuniti alla Nuvola di Renzo Piano all’Eur, è più che chiaro: bisogna salvare il “soldato Ryan” italiano, il nostro ceto medio, con la speranza che il governo ne tenga conto nei diversi tavoli dell’Agenda 2023 partiti a Palazzo Chigi.
“Si tratta di una pressione iniqua e quasi insostenibile” ha rimarcato Massimo Miani, presidente dei commercialisti italiani. “A questi livelli siamo in presenza di una attività espropriativa del ceto medio – la riforma fiscale di cui si parla non può non tener conto di questa iniquità. Bisognerà cercare di intervenire sulle priorità che si chiamano semplificazione ed equità fiscale. Crediamo di poter svolgere un ruolo importante in tal senso grazie alla nostra esperienza e alla nostra professionalità. Del resto più del 75% delle entrate fiscali arriva attraverso l’assistenza dei commercialisti”.
Quella “cura da cavallo” annunciata dal premier Giuseppe Conte, dovrebbe proprio partire da qui, considerando chi in questi anni è stato più penalizzato: lavoratori dipendenti, autonomi e anche pensionati, se è vero che l’esecutivo si è impegnato entro aprile a presentare un disegno di legge di riforma complessiva delle aliquote fiscali, tenendo presente anche le diversità che vi sono all’interno della stessa maggioranza. Se infatti il M5S ha sempre parlato di una riduzione a tre delle aliquote fiscali, il Partito Democratico è più per un accorpamento delle due più basse, riuscendo a mettere insieme quella del 23% per i redditi fino a 15.000 euro e del 27% per i redditi fino a 28.000 euro. L’obiettivo sarebbe quindi quello di portare la percentuale di tassazione al 20% per entrambe le fasce di reddito. Il problema restano le risorse con cui finanziarie il taglio delle tasse – si parla di almeno 10 miliardi di euro – senza dimenticare il fardello dei 20 miliardi che si dovranno mettere a bilancio per scongiurare il prossimo anno l’aumento dell’Iva.
Agli Stati Generali però i commercialisti sono rimasti abbastanza freddi con le promesse del viceministro all’Economia, Antonio Misiani che ha proposto “un patto per la riforma dell’Irpef” e un tagliando per le Agenzie fiscali e ancor meno disposti ad ascoltare Carla Ruocco già presidente della Commissione Finanze della Camera e oggi responsabile della Commissione bilaterale sulle banche. C’è stata invece un’accoglienza molto calorosa per Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia che ha ribadito un concetto caro ai commercialisti “la lotta all’evasione del sommerso non si fa con la caccia al gettito superiore di chi già è emerso”, una visione questa “tardo marxista, perché per il governo ci sono solo grandi imprese e lavoratori dipendenti, il resto non esiste”. A tessere le fila per la leader di Fratelli d’Italia è stato il suo senatore Andrea de Bertoldi, segretario della Commissione Finanze di Palazzo Madama nonché coordinatore della consulta dei parlamentari commercialisti, un organo trasversale ai partiti.
“La delusione è tanta e si è accumulata nel tempo” spiega a Formiche.net De Bertoldi “questo governo è riuscito per la prima volta a far scendere in piazza lo scorso settembre i commercialisti, non era mi avvenuto prima di allora. Il problema è che al di là dei proclami non si vedono fatti concreti. Vogliamo, per esempio, partire dall’equo compenso? Abbiamo presentato un disegno di legge che introduce delle sanzioni, compresa la nullità delle nomine, per chiunque non ne rispetti le prescrizioni, e prevedendo anche un ripristino dei minimi tariffari per tutelare la qualità delle prestazioni professionali e proteggere soprattutto i più deboli e giovani professionisti che sono stati duramente colpiti dalle liberalizzazioni delle cosiddette lenzuolate di Bersani e del Pd”.
Sulla riforma dell’Irpef il senatore di Fratelli d’Italia condivide l’analisi del presidente dei commercialisti italiani: “Bisogna salvare il ceto medio produttivo, le aliquote Irpef e i relativi scaglioni sono stati disegnati oltre cinquant’anni fa e hanno finito per intrappolare soprattutto il ceto dei lavoratori dipendenti, statali e impiegati, ma anche commercianti e liberi professionisti. Questi ultimi poi non hanno goduto in questi anni di nessuna agevolazione se pensiamo agli 80 euro di Renzi, al recente decreto sul cuneo fiscale e al reddito di cittadinanza: tutte iniziative di natura assistenziali che pesano circa 23 miliardi di euro in deficit sulle casse dello Stato”.