David Frost è il negoziatore per la fase post-Brexit e consulente per gli Affari Europei al soldo dell’Ufficio del Primo Ministro del Regno Unito. Pagato quindi per portare avanti le tesi care al governo in carica e, siccome è un diplomatico (evidentemente assimilabile per Downing Street ad un accademico), per dare a quelle tesi una patina intellettuale al fine di recuperare il consenso sulla Brexit da parte dell’opinione pubblica colta, l’élite del paese, notoriamente in larga maggioranza espressasi contro l’uscita dello UK dalla UE.
Non è chiaro se sia riuscito nell’intento, che d’altronde non può che essere un percorso lungo e faticoso. Ma è chiaro che è riuscito a raccogliere consensi all’estero, se un commentatore della Libera Università di Bruxelles (il Prof. Mario Telò) ha sottolineato l’importanza dell’intervento, riconoscendone la natura “colta e pragmatica”, per quanto “preoccupante”.
La tesi di Frost, per quanto condita con riferimenti pseudo dotti alla letteratura filosofico-politica del Settecento, si riduce al seguente argomento: l’Europa ha recentemente vissuto due grandi rivoluzioni, quella della condivisione della sovranità, che ha fallito il suo scopo allontanandosi dal rapporto con i cittadini; e quella della Brexit, che ha riportato il sovranismo alla sua giusta dimensione, ossia quella nazionale. In questo senso, Frost giudica la prima come non solo fallimentare, ma definitivamente perdente e “vecchia”; mentre la rivoluzione della Brexit sarebbe il nuovo che avanza, a riportare in auge un modello (nazional-nazionalistico) nel rapporto fra cittadino e poteri pubblici, affidato unicamente allo Stato.
Una tesi che, messa così, difficilmente farà breccia davvero nell’élite intellettuale britannica, che conosce benissimo il processo d’integrazione europea, così come sa bene che il progetto di condivisione della sovranità, dalla quale è effettivamente nato e che ha continuato ad alimentarsi nel solo campo della politica monetaria, è un progetto ancora ampiamente irrealizzato. Sicchè quella che ha fallito è proprio l’Europa intergovernativa e confederale prevalsa negli ultimi decenni; non quella federale auspicata dai suoi Padri Fondatori.
Una tesi che, ci auguriamo, non dovrebbe attecchire nemmeno fra l’opinione pubblica anche solo scarsamente informata in terra d’Albione, la quale dovrebbe aver ormai chiaro come la natura transnazionale di alcuni problemi non può essere affrontata efficacemente nell’ottica delle cornici giuridiche e politiche nazionali, o in loro irrilevanti negoziati diplomatici. A difesa di una sovranità che degenera in mera difesa del potere da parte dei governi, contro gl’interessi (ben più ampi, concreti e spesso condivisi) dei cittadini. Abbiamo visto a Madrid cosa succede ai proclami contro i cambiamenti climatici quando sono i governi, nella loro piena prerogativa sovrana, a prendere decisioni collettive… nulla!
Ma Frost ha ragione su un punto fondamentale, che non riguarda solo i britannici (come lui finge di ritenere). L’Europa non è stata capace d’incendiare gli animi dei suoi cittadini, o quantomeno di risolvere (anche solo di affrontare concretamente ed efficacemente) i loro problemi condivisi. È stata percepita come “astratta” e “tecnocratica”, ossia lontana dai bisogni degli individui ai quali pure chiede continuamente un consenso. E che a Bruxelles, nella loro bolla istituzionale con stipendi da nababbi, non hanno ancora capito che continuare nel business as usual equivale a scherzare col fuoco di un consenso che si riduce ogni giorno di più.
Ma come ho scritto più volte su questo blog, non esiste una sola scelta binaria: fra ritorno alla sovranità nazionale e tecnocrazia europea; fra confederazione e tecnocrazia. Esiste non solo la possibilità, ma il dovere morale e la necessità storica di riprendere il percorso colpevolmente lasciato incompiuto, realizzando una genuina democrazia sovranazionale multilivello, nella quale possano convivere pacificamente identità e centri di potere locali, nazionali e sovranazionali, ognuno legittima espressione del volere degli individui. In sostanza: un’Europa federale.
Se l’Europa sarà capace di riprendere quel cammino, mostrerà al Regno Unito l’inconsistenza e l’anacronismo della sua scelta; se non ci riuscirà, decreterà il ritorno alla situazione pre-integrazione, quando i paesi europei scalciavano per assumere il ruolo di protagonisti sulla scena europea e mondiale. Con tutto quello che ne è risultato per secoli in termini di conflitti, e/o di sudditanza ad altre potenze.