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Come sarà l’Oman del dopo Qaboos. Report CeSI

La morte del il Sultano dell’Oman Qaboos al-Said (il 10 gennaio) è uno degli eventi segnanti per il prossimo futuro in una regione turbolenta come il Medio Oriente. La rapidità con cui è stata trovata la quadra per la successione, con la nomina del cugino Haitham bin Tariq al-Said, fa pensare che a Muscat si sia puntato sul diffondere all’esterno un messaggio positivo, tranquillizzante. Haitham potrebbe essere il frutto di un riassetto già deciso – forse già prima delle morte di Qaboos – dalle famiglie più potenti del sultanato per evitare scossoni.

In un report per il Ce.S.I., Lorenzo Marinone traccia la fotografia del Paese: Haitham eredita una situazione con una crescita economica vicina allo zero e un debito estero che continua a crescere. L’economia dipende per circa il 72 per cento dall’esportazione del petrolio, e, spiega l’analista italiano, con il crollo dei prezzi del 2014, “il Paese ha accumulato un ingente debito, che pare destinato a essere incrementato”. La Banca Mondiale stima che nel lungo termine l’andamento economico dell’Oman è sostanzialmente negativo: “La crescita del Pil, dal 2012 a oggi, è calata di circa otto punti percentuali, mentre il deficit è al 10,9 per cento”, aggiunge Marinone, che sottolinea come un “dato ancora più rilevante è quello del debito delle casse statali, che ha raggiunto ben il 53,5 per cento del Pil (nel 2014 era solamente il 5%). Secondo quanto analizzato, questo “è indice del fatto che il Paese è sprovvisto degli strumenti economici necessari per far fronte alle attuali difficoltà in modo armonico”.

La situazione economica delicata apre uno scenario chiaro: per il sultano servirà bilanciare sia gli interessi interni – per evitare che quell’equilibrio post Qaboos finisca violato – sia attrarre investimenti dall’esterno. Marinone ricorda a tal proposito che Haitham è particolarmente legato all’erede al trono emiratino, Mohammed bin Zayed. Aspetto dicotomico: se da un lato questo potrebbe facilitare l’attrazione di investimenti degli Emirati nel Paese, dall’altro potrebbe esporlo troppo verso Abu Dhabi – che da molto tempo è interessata ad aumentare la sua influenza sull’Oman. Nel mirino soprattutto la Penisola Musandam, extraterritorialità omanita che affaccia sullo Stretto di Hormuz, strozzatura talassocratica del Golfo. Ma non solo: tra gli obiettivi emiratini c’è anche collegare i porti meridionali nel programma String of Pearls, la collana di porti che gli Emirati intendono costruire e dal Golfo al Corno d’Africa fino al Mediterraneo e integrarla con la Belt and Road cinese (come spiegato su queste colonne dall’esperta di Golfo Cinzia Bianco dell’Ecfr). Marinone ricorda che “la Cina ha investito 10,7 miliardi di dollari per il potenziamento del porto di Duqm, nel sud dell’Oman, e, parallelamente, gli EAU stanno contribuendo alla costruzione di una linea ferroviaria ad alta velocità di 1,200 km, che collegherà Duqm con gli Emirati e il resto della Penisola Araba”.

“Il filo di perle emiratino ha nell’Oman una chiave di volta”, scrive Marinone, per questo l’interesse di Abu Dhabi è forte. Muscat è da sempre un territorio neutro, abile a muoversi nella complicata diplomazia regionale anche perché è sempre stata distante da vincoli importanti. Agli omaniti per esempio questa dimensione viene riconosciuta anche da Washington, che infatti li usa come canale di comunicazione con l’Iran – strada apprezzata anche da Teheran. E questo ruolo ha un valore politico centrale nelle dinamiche intra-mediorientali del presente e del futuro, che con un’esposizione emiratina rischierebbe di deteriorarsi. Gli Emirati infatti sono stati portatori di una politica estera aggressiva nei confronti dell’Iran, su cui bin Zayed ha mosso anche il collega saudita, Mohammed bin Salman: politica che attualmente Abu Dhabi sta gestendo senza spingere troppo sull’acceleratore, dato che è arrivata sull’orlo di un’escalation.

 

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