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La fede di un uomo diventato papa. Bergoglio raccontato da Brunelli

“Papa Francesco. Come l’ho conosciuto io”, il libro di Lucio Brunelli pubblicato in questi giorni da San Paolo, è il racconto di un’amicizia. E molto altro. Il racconto di questa amicizia comincia nella casa romana dove l’allora vaticanista del Tg2 e poi direttore di Tv2000 ha conosciuto l’arcivescovo di Buenos Aires, il cardinal Jorge Mario Bergoglio.

Al racconto delle mail, e delle rare visite romane dell’odierno papa, segue il racconto del Conclave e quindi delle telefonate romane, tra le quali spicca quella che sorprende un Brunelli in vacanza al mare, che si precipita sul balcone vista la cattiva ricezione urlando, in mutande, “come sta Santità?”. Pensare al vicino induce Brunelli ad abbassare appena può la voce, e noi a riflettere sulla difficoltà di un’amicizia irrituale con un papa ovviamente irrituale anche lui, Bergoglio. Il lettore si chiede: “Ma perché un papa deve chiamare un semplice giornalista?”. Già, perché? Forse perché è un uomo… che la sera vuole parlare con un amico, chiedergli un consiglio, o sapere come sta…

Ma il racconto di questa amicizia offre tanti spunti per capire chi sia e come si rapporti alla vita l’uomo che oggi è vescovo di Roma. Questo racconto infatti porta a galla la capacità del papa di rimanere se stesso, io direi uno spirito libero: libero e fedele alla sua fede. Questo emerge benissimo, e chiarissimo, dal racconto. Nelle prime pagine ad esempio Brunelli racconta di un battesimo richiesto, qui a Roma, da un’argentina, per suo figlio. Lei vorrebbe un prete argentino, e Bergoglio dà la sua disponibilità, venendo a Roma, a battezzare il bambino quando la donna avesse voluto: “Mi piace tanto battezzare”. L’irregolare vicenda familiare del bambino e della donna non interessa a Bergoglio. Il battesimo è per tutti. La disponibilità è assoluta, scelga la donna la data, tra il giorno in cui arriverà e quello in cui partirà l’arcivescovo.

Nulla è cambiato dopo l’elezione in Francesco: quando Brunelli racconta al papa di un conoscente che finalmente ha deciso di confessarsi, lui dice “ma che sia un prete misericordioso, misericordioso. Se non lo trova lo confesso io”. Un papa che si preoccupa di come sarà il prete che confesserà uno sconosciuto sulla via del ritorno alla fede…

Il libro però non è un insieme di fatti, o di episodi, ma il racconto di un’amicizia. E in questo racconto ovviamente il credente Brunelli si accavalla al giornalista Brunelli, e così emerge una pagina fortissima, da tutti i punti di vista. È la pagina dedicata ad Isabel. Isabel è una trans, scelta tra le 12 persone detenute alle quali Francesco laverà i piedi in occasione del rito del Giovedì Santo. Direttore di TV2000 Brunelli lo viene a sapere dal suo giornalista che va al penitenziario romano in vista della cerimonia. E si chiede: “Che fare?”. Il problema è il rapporto con la notizia e l’impatto della notizia. La notizia più importante, ovviamente è quel che farà il papa: laverà i piedi a 12 detenuti. Decisione non certo irrilevante, lo capisce chiunque. Ma l’emergere la particolarità  di una di queste dodici persone è oggettivamente una notizia. Darla in anticipo cancellerà la vera notizia?  E poi, il giornalista che dirige la Tv dei vescovi italiani, potrà chiedersi se il papa ne sia al corrente? Trova il coraggio e quando lo sente gli chiede se lo sappia. Sorpreso il papa fa capire di saperlo. Anche lei è figlia di Dio, no? È grosso modo la risposta di un uomo che ha deciso di non farla togliere dall’elenco delle persone prescelte per la sua identità. Sbattere il “caso” in prima pagina è sempre una tentazione, ma la notizia c’è, e non è da poco. E poi c’è anche lei, Isabel, in questa storia. Va raccontata, certo, o va “usata”? La scelta del giornalista è quella giusta. La notizia va data, ma dopo il rito, non prima. Raccontando Isabel, la sua vita. È lei che dà la notizia di chi sia Isabel. E quando l’intervista va in onda la riprende tutto il mondo. E la maggior parte dei fedeli capiscono, apprezzano la scelta.

Brunelli ha trovato dunque il modo di custodire i frammenti di un’amicizia eccezionale, cominciata quella sera a casa di due suoi cari amici, Gianni Valente e Stefania Falasca, giornalisti che frequentano Bergoglio l’arcivescovo che va in giro per Buenos Aires in metropolitana trovandosi a suo agio più nelle periferie che nei blasonati palazzi del centro. È un anacoreta? Questo si chiedeva all’inizio Brunelli. La risposta che emerge dal libro è “No, è un prete”. Almeno questo sembra dire al lettore mentre ricostruisce i frammenti di questo racconto che ripercorre anni intensi, conservati prima nella memoria del computer con le mail piene degli errori di italiano del cardinale argentino e poi nella memoria  dell’amico che ha parlato col papa in tanti contesti impensabili, anche gli uffici un po’ grigi della Rai, quegli stessi uffici dove aveva fatto capire di essere un giornalista di razza, facendo inserire Bergoglio tra i papabili anche se lui al telefono gli diceva “lasciamo fare al Signore”.

Ricostruendo questa amicizia Brunelli ci offre però anche una fotografia, decisiva a capire il suo mestiere di giornalista televisivo. Diventando suo amico, Bergoglio è diventato amico anche di Franco Trifoni, l’operatore di Lucio che ha lavorato con lui per tanti anni.  E per capire cosa ci dice l’uno non si può prescindere da cosa vede l’altro. Le volte che Trifoni compare e riappare  sembrano  fotografie che completano il libro, perché in realtà Bergoglio è amico di entrambi. Anche se ci avrà parlato di persona poche volte, anche Trifoni lo vivrà, lo sentirà come un “amico”. Questa doppia amicizia è un tratto delicato del libro, ma anche importante, perché il papa secondo Brunelli ha accordato l’intervista a Tv2000 alla fine del Giubileo perché ha pensato a quelle riprese effettuate a Banguì, da Brunelli ovviamente, cioè da Trifoni.

E si arriva alla non nascosta cura dell’amico per l’amico inusuale che con tante inusualità non avrà vita facile in Vaticano. È questa della “naturale difficoltà” un tratto importante, perché Francesco non è uomo da palazzi, qualunque sia il Palazzo, e questo se l’autore non lo dice proprio così fa pensare però che lo pensi.  Ma l’impressione di una ventata nuova per tutti i Palazzi è confermata da un racconto che ci cala anche nell’oggi.

Brunelli infatti raccontando il Giubileo, si sofferma sul dolore profondo del papa per gli attentati parigini, lui che risale da fisioterapia per rilasciare un’intervista richiesta e accordata nel volgere di pochi minuti. Erano giorni tremendi, ma anche quelli in cui ci avevano spiegato che il Giubileo era un rischio, un rischio enorme per il papa e anche per i fedeli. Ripensarci non può che portare a chiedersi, fu un rischio eccessivo?  Leggendo si può ricordare che a quel tempo si diceva che i terroristi fossero prossimi a sbarcare a Ostia, o a Fiumicino. Più che i riti del Giubileo si raccontavano le imponenti misure di sicurezza. Avendo paura di tutto saremmo rimasti tutti a casa,  il papa non sarebbe andato a Bangui, noi non avremmo partecipato al Giubileo dei detenuti, o a quello dei malati. I detenuti sarebbero stati più detenuti, più dimenticati, più abbandonati, i malati sarebbero stati più soli, più malati, più abbandonati. E i terroristi non sarebbero sbarcati né a Ostia né a Fiumicino, le loro bandiere nere che qualcuno già vedeva sventolanti sul Raccordo Anulare, non avrebbero visto la piazzola di sosta da dove Brunelli ha chiesto e ottenuto l’intervista al papa che avrebbe commentato con parole importantissime l’attentato dei terroristi della sera prima.

Queste pagine ci fanno riflettere: cosa è successo a Banguì, alcuni volevano proprio che non accadesse? E oggi, cosa sta succedendo oggi? Non c’è forse paura, psicosi?

Il libro di Brunelli dunque è un libro riuscito, perché ci consente di capire meglio chi sia Francesco e anche riflettendo sul recente passato di capirlo meglio e di pensare al presente. Ma soprattutto sa far raccontare la fede di un uomo in carne ed ossa. Che poi è diventato papa.

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