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Fare squadra. Le premesse di Ivo Tarolli per ripartire dal centro

La necessità di un nuovo soggetto politico centrista è ormai quasi un mantra da più parti sollecitato. In questi ultimi anni è innegabile, e ne siamo felici, il fiorire di iniziative sia culturali sia politiche, anche elettorali (è di questi giorni la candidatura di Adinolfi), che hanno fornito non solo testimonianza, ma anche contributi acuti e preziosi. Se non vogliamo che vadano dispersi, va fatto uno sforzo di sintesi per portarli in un percorso organizzativo concreto e condiviso che ci porti verso l’obiettivo.

E non è un problema o un auspicio delle sole esperienze – di associazioni, di movimenti, di partiti o anche di singoli volenterosi – cristianamente ispirate. Ma anche di altre culture, come quelle laiche, riformiste o liberaldemocratiche (penso ai Sacconi, ai Calenda e Lorenzin o ai Parisi e Garfagnana).

Ma l’obiettivo non è né semplice né scontato. Per cui lo spirito di “ricerca” e la disponibilità al dialogo – che non è riconducibile al solo parlarsi, ma al condividere e al progettare assieme – vanno considerati come premesse non eludibili.

Rifacendomi all’area cristianamente ispirata, sono testimonianza di questo fiorire il dibattito e il confronto fra i vari Ettore Bonalberti, Giorgio Merlo, Gianfranco Rotondi, e le testimonianze on line del Domani d’Italia guidato da Lucio D’Ubaldo, Politica Insieme con Giancarlo Infante e Costruire Insieme con Raffaele Bonanni, Sergio Marini e Marco D’Agostini. Per non parlare dei De Mita, dei Mannino e del professor Zamagni.

Noi abbiamo già sostenuto che occorre lavorare per un approdo comune. Sia essa una costituente nazionale deliberativa, come proposto da ParteBianca (promossa da Politica Insieme, Rete Bianca e Costruire Insieme). Purché il dibattito e il confronto sia rigoroso e, quindi, non scontato e soprattutto sia reso fertile dalle convergenze sull’analisi, sull’interpretazione e quindi sulle prospettive della modernità. A titolo esemplificativo, voglio citare tre questioni che possono essere paradigmatiche.

Il pieno dispiegarsi del processo di globalizzazione delle persone, delle merci e dei capitali, senza che parallelamente le istituzioni e gli organismi regolatori operassero lo stesso processo.

Con l’abbattimento del Muro di Berlino che ha sancito, secondo aspetto, il superamento del potere catartico delle ideologie, abbiamo registrato di essere entrati nel secolo delle libertà con il suo carico quasi palingenetico, ma con una, ormai sempre più evidente, mancata declinazione di tutti gli aspetti connessi alla libertà, quali ad esempio, l’indeclinabile virtuosità di sentirsi parte attiva e generativa della comunità, o le questioni relative ai doveri senza i quali l’uomo si disperde.

E per terzo, l’irruzione nella nostra vita, anche professionale, del digitale che ci ha catapultati in una nuova rivoluzione tecnologica con il ruolo della comunicazione e la velocità delle decisioni straordinarie.

Sono cambiamenti, assieme a tanti altri, che ci dovrebbero suggerire che non possiamo attestarci sul passato, ma pur recuperando ciò che si ritiene meritevole, proiettarci decisamente verso il mondo nuovo.

Papa Francesco si è rivolto agli ambasciatori accreditati, (e non agli ecclesiastici) affermando che siamo non in un’epoca in cambiamento, ma dentro un cambiamento d’epoca. Ma per poter giocare la partita, bisogna che ci sia una squadra. Senza di essa, se non si esiste come un’area vasta e plurale, si corre il rischio di essere uno dei tanti allenatori della nostra nazionale di calcio.

Per rendere possibile questo obiettivo, non facile, bisogna evitare di essere risucchiati dallo scapigliarsi sul posizionamento come condizione preliminare. Questione che porta alla damnatio degli ultimi 25 anni; divisi fra chi sta di qua e chi sta di là. Frammentati e, quindi, irrilevanti.

Si nasce, si dovrebbe nascere, per colmare un vuoto. Si nasce per rendere possibili convergenze fino a ieri inimmaginabili. Come premessa al ritorno a un percorso non unico ma unitario, con un progetto concreto e proposte concrete che diano una mano al nostro Paese e all’Ue di risollevarsi. Risulta evidente che, il giorno che si decidesse di partire, sarebbe più che mai necessario rendere chiara la meta verso cui tendere e le forze con cui si vuole cooperare per raggiungerla.

Ma, anche qui, non riproponendo schemi o esperienze che sono state non dico archiviate ma superate. De Gasperi si rivolgeva alle forze e agli elettori di quel tempo. Noi dobbiamo rivolgerci a quelle di oggi.

Cerco di tradurre. La sinistra degli anni 40 e 50 ha concorso concretamente a scrivere la Costituzione! Ha concorso concretamente a dare motivazioni forti all’unità del nostro Paese.

Cos’è e chi è oggi in Italia la sinistra. È la sinistra della Corinna? Dei radicalismi? Della grande finanza? Dei Parioli? E analoghi interrogativi vanno posti all’altro campo della barricata; qual è oggi il volto della destra italiana? E chi ne sono gli interpreti.

Ecco perché non è indicato attestarsi sugli schematismi datati, ma dentro un “Mundus novus”, indicando una strada nuova.

Se siamo animati dal tentativo di rendere possibile la nascita di un soggetto politico nuovo, che sia centrale, capace di recuperare il meglio della cultura centrista; riottenere la dimensione popolare dell’impegno politico; dare sostanza alla cultura dell’umanesimo integrale – dove il dominus è la persona, non il suo stato; di riproporre la sussidiarietà e il protagonismo dei corpi intermedi; dare un approccio innovativo verso l’ambiente e lo sviluppo sostenibile; proporre una globalizzazione “governata” all’insegna dell’armonia e della sintesi delle statualità esistenti; indicare la strada maestra da percorrere. Che è quella dell’assumere come guida, fra i marosi di oggi, il metodo delle alleanze, dell’incontro dei contenuti programmatici, in maniera chiara e trasparente, dentro una palestra autenticamente democratica, dove tutti possano sentirsi protagonisti e tutelati.

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