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Il piano per il Sud può funzionare, ma a una condizione. Il commento del prof. Pirro

La presentazione avvenuta oggi a Gioia Tauro da parte del presidente Giuseppe Conte e del ministro Giuseppe Provenzano delle linee del nuovo Piano per il Sud rappresenta a mio avviso un evento di grande rilievo. Senza voler indulgere in alcun modo all’esaltazione della retorica e dell’enfasi degli annunci, si può dire che i contenuti del piano sono sicuramente condivisibili, anche se poi – come già accaduto per precedenti programmi di intervento nel Mezzogiorno – bisognerà verificarne la concreta attuazione in tempi realmente utili a determinare una forte ripresa economica dell’Italia meridionale.

Con la consapevolezza di incorrere in una evidente ovvietà, è utile ribadire quanto già altri autorevoli osservatori hanno evidenziato a proposito del comunicato del governo: ormai per il Meridione, ma anche per il resto del Paese, le risorse per la realizzazione di infrastrutture non scarseggiano, ma il nodo vero da sciogliere è la tempistica del loro effettivo impiego, perché da anni ormai è fin troppo nota (e deprecata) l’estrema lentezza con cui spesso i finanziamenti stanziati diventano cantieri, anche se con qualche lodevole eccezione come la ricostruzione del ponte a Genova, ove, se ancora non si può parlare di “tempi cinesi” per il suo completamento, è sicuramente apprezzabile che, a meno di 2 anni dal crollo del Morandi, comunque si stia procedendo speditamente.

Potrà accadere lo stesso per la realizzazione o il completamento di alcune infrastrutture nel Sud? La ferrovia diretta Napoli-Bari sta faticosamente procedendo e se tutto andrà secondo i tempi previsti dovrebbe concludersi nel 2026. E così il raddoppio sulla linea ferroviaria Bari-Bologna dell’unico tratto a binario unico fra Lesina (Foggia) e Termoli, ostacolato per anni dal Comune di Campomarino che ha imposto a Rfi, dopo un estenuante braccio di ferro durato anni, l’aggiramento del centro abitato del tracciato dei binari con un aggravio di costi di oltre 500 milioni.

Allora, a che punto sono le progettazioni esecutive e le realizzazioni da parte di Anas e Rfi delle strutture di rispettiva competenza? Il presidente Conte annuncia alta velocità e alta capacità su lunghe tratte ferroviarie e stradali del Sud continentale e in Sicilia, senza dimenticare la Sardegna. Bene, ma i tempi della loro realizzazione? Ed inoltre con un’accurata spending review si riuscirebbe a contenere, a parità di prestazioni per l’utenza, il costo di alcune opere? L’ex ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Graziano Delrio, con il supporto della Nuova Struttura tecnica di missione, diretta prima dal prof. Cascetta e poi dal prof. Catalano aveva avviato una revisione dei costi previsti per alcune grandi opere strategiche che ci auguriamo sia stata confermata.

In ogni caso, sulla tempistica di attuazione dei programmi infrastrutturali annunciati – che sono in ogni caso riferiti ad opere in gran parte utili – dovranno vigilare diversi soggetti, dalle competenti Commissioni parlamentari, alle direzioni ministeriali, dagli amministratori sui territori agli stakeholder locali. Ed è auspicabile inoltre – ma anche in questo rasentiamo l’ovvietà – che l’avvio e la prosecuzione dei cantieri abbiano un positivo impatto sulla crescita del Pil, a livello nazionale e locale, perché è fin troppo noto che un sostenuto andamento dell’edilizia pubblica e privata tonifica la domanda interna per tutti i comparti fornitori di beni intermedi al settore e alimenta le dinamiche salariali (e la loro spesa) degli addetti diretti e indiretti impegnati nella realizzazione di opere pubbliche e di abitazioni private.

Ciò detto, chi scrive ritiene però che il Piano per il Sud debba includere anche qualificati interventi per la crescita industriale delle aree meridionali, cominciando, ovviamente, da una positiva risoluzione delle complesse questioni riguardanti il gruppo Ilva e il suo mega-impianto di Taranto che è al servizio di larga parte dell’industria meccanica nazionale. E in tale prospettiva, è auspicabile che si addivenga ad un accordo con Arcelor Mittal, ma alle condizioni imposte dal governo italiano, senza cedimenti di alcun tipo sul ruolo presente e futuro di un sito classificato dal 2012 di “interesse strategico nazionale” e ricorrendo, ove necessario, ad un piano B con altri partner italiani ed esteri, se Arcelor non accettasse quanto proposto dal nostro esecutivo.

Ma un altro settore da sviluppare nell’Italia meridionale – sempre nell’interesse dell’intero Paese – è quello estrattivo e petrolifero, redigendo rapidamente come peraltro previsto da norme vigenti il piano delle aree ritenute idonee per le esplorazioni e tornando a rilasciare, dopo una moratoria protrattasi troppo a lungo, le concessioni di esplorazione ed estrazione richieste. Nell’Italia meridionale rilievi geognostici già compiuti da lungo tempo hanno evidenziato l’elevatissima probabilità che – oltre a quelli in Basilicata e nella Sicilia sud-occidentale già in coltivazione – vi siano altri vasti giacimenti di petrolio e di gas nel Golfo di Taranto e al largo della Sardegna nord-occidentale che dovrebbero essere sfruttati – con l’impiego di tecnologie e procedure estrattive ecosostenibili – anche per ridurre l’aggravio della nostra bilancia commerciale e per favorire la costruzione e manutenzione di piattaforme petrolifere, come sarebbe possibile a Taranto – ove se ne sono costruite di imponenti da parte della Belleli off-shore sino al Duemila – e come avviene nell’area di Arbatax in Sardegna ad opera della Saipem.

Si dovrebbe inoltre potenziare nell’Italia meridionale la grande cantieristica navale che può contare sui siti della Fincantieri di Castellammare di Stabia e di Palermo, entrambi interessati da programmi di investimento (da accelerare) per il loro potenziamento. Ma anche l’Arsenale della Marina Militare di Taranto – il più grande d’Italia – può essere pienamente rilanciato, accrescendone l’impiego con il dual use, ovvero con lavori anche su navi civili, come già accaduto in passato. Così come bisognerà sciogliere (una volta per sempre) i nodi che ancora si frappongono al pieno rilancio – su cui si sta lavorando ormai da troppi anni – del polo minero-metallurgico a Portovesme in Sardegna, con la ripartenza dell’Eurallumina e della ex Alcoa ora della svizzera SiderAlloys che è l’unico polo di produzione di alluminio primario in Italia.

E un ruolo strategico per il pieno rilancio dell’industria nel Sud devono riprendere o continuare a svolgere sempre in logiche di mercato le grandi aziende pubbliche – Eni, Enel, Leonardo, Fincantieri, Terna, Ferrovie dello Stato, Poligrafico, etc. – che già dispongono nel Sud di strutture imponenti, ma che potrebbero potenziarle ulteriormente con effetti indotti aggiuntivi. Insomma, è molto positiva la valutazione di un Piano di grandi opere per il Sud, ma l’auspicio è che esse siano completate in tempi non biblici e che il programma di interventi sia integrato da linee di politica industriale ben precise.

Ma un’ultima riflessione si può offrire ai pazienti lettori. Se le popolazioni del Mezzogiorno non si scrolleranno di dosso ogni residuo di vecchie propensioni alla lamentazione, e ad attendere che sia solo lo Stato a doversi occupare del loro futuro, e se non punteranno invece con grande determinazione a valorizzare le rilevanti risorse materiali, paesaggistiche, storico-culturali, tecnologiche e professionali di cui già dispongono, non vi sarà piano per il Sud che potrà sostituirsi al loro operato. Senza un Sud che voglia essere protagonista con la piena esaltazione auto-propulsiva delle sue energie migliori, un Piano per il Sud potrà concorrere ben poco alla crescita dell’Italia meridionale.



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