La manifestazione #maipiùvitalizi, indetta dal M5S per il pomeriggio del 15 gennaio, si qualifica come la prima iniziativa di governo e di lotta del MoVimento. Lo scopo, nemmeno troppo sottaciuto, della convocazione in piazza della base elettorale Cinque Stelle è fiutare l’umore di simpatizzanti ed elettori dopo un periodo difficile, con le sconfitte elettorali alle consultazioni europee del 2019, alle regionali di inizio 2020 e a seguito dall’incerto cambio al vertice del dopo Di Maio.
Nei momenti difficili della vita, per i partiti come per ogni altro tipo di organizzazione, sembra utile ripartire dal “core business”, dall’attività che si riesce a svolgere al meglio e che ha procurato il successo. In questo senso, l’istanza protestataria, naturalmente insita nel carattere nazionale, ha trovato un catalizzatore nelle manifestazioni antisistema organizzate dal MoVimento, sin dal primo “Vaffa day” del 2007. Sembrerebbe quindi opportuno ripartire dalla protesta anticasta, se non altro per offrire quella palingenesi del MoVimento di piazza che la base elettorale più convinta rivendicava e che così poco spazio aveva trovato nella guida negoziale ed attendista di Luigi Di Maio.
C’è un grande ostacolo sostanziale nella scelta di convocare gli elettori in piazza contro un provvedimento così politico come il ripristino dei vitalizi. Gli eletti a cinque stelle nelle rappresentanze parlamentari dovrebbero avere sufficiente cultura istituzionale, oltre che politica, per arginare nelle aule il tentativo di stralciare l’abolizione dei vitalizi, materia di autodichia parlamentare. Convocare una piazza perché non si è riusciti a risolvere dentro le istituzioni una questione che ivi trova la propria naturale sede di trattazione è un’ammissione implicita di insufficiente efficacia politica (peggiorata dopo l’exploit comunicativo delle foto “by bye vitalizi”), più che una prova di forza.
Inoltre, la scelta di una piazza – Santi Apostoli, di modeste dimensioni e capace di contenere non più di 25.500 persone – testimonia l’esigenza di marketing politico e poco orientata alla soluzione politica del tema, di mostrare una location piena di sostenitori, anche laddove le presenze non risultassero poi così numerose. Come sanno bene gli organizzatori di spettacoli, è meglio avere un teatro piccolo e annunciare che restano solo posti in piedi, per decretare il successo dell’evento, piuttosto che prenotare una sala ampia e restare con spazi vuoti.
Probabilmente, per gli osservatori del MoVimento, sarà più utile considerare questa piazza come termometro del consenso politico delle aspiranti élite politiche, se così si può dire dentro al M5S in cui uno vale (ancora?) uno. In questo modo si può provare a comprendere di quale consenso godano i nuovi leader, pronti a scendere nell’agone per succedere a Di Maio, dopo la reggenza di Vito Crimi e che hanno convocato la manifestazione e definito la scaletta degli interventi. Il palco prevede il consueto formato a tempo, in cui gli esponenti in piazza si contenderanno il consenso a suon di discorsi sicuramente sintetici e orientati all’efficacia comunicativa. Una kermesse del consenso decretato dalle basi viene preferita, come via di uscita dalla crisi, ad un momento di riflessione sulle soluzioni politiche da elaborare e al sempre più necessario confronto tra le correnti nel MoVimento. Ne risulterà una selezione delle leadership consegnata all’effetto setaccio della piazza, anziché affidata a momenti di elaborazione fonda di risposte alle difficoltà elettorali e interne. Un rischio reale, mascherato dall’opportunità di ripartire dal percorso certo delle piazze di protesta, pur essendo al governo del paese.