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Non contatemi tra i responsabili. Quagliariello risponde con il suo libro (con Ruini)

Liberalismo e cristianesimo possono convivere? Come ricomporre le cesura nell’idea di persona, di libertà e di responsabilità che si sono verificate nel recente passato italiano? E ancora, il rapporto con l’ambiente e le migrazioni come si intrecciano con il confine umano delle libertà e dei diritti?

Alcune risposte analitiche a tali quesiti si ritrovano nel volume scritto a quattro mani dal cardinale Camillo Ruini e dal senatore Gaetano Quagliariello (Idea), intitolato “Un’altra libertà – contro i nuovi profeti del paradiso in terra”, curato da Claudia Passa (Rubbettino). Non una trascrizione di pensieri e teoremi, ma il frutto di un incontro casuale: la lectio del cardinale nel novembre del 2017 in occasione della XII edizione della Scuola di alta formazione politica della fondazione Magna Carta, e l’introduzione del presidente della fondazione, Gaetano Quagliariello. Due pensieri che alla fine si intrecciavano in una sorta di confronto sotteso sul tema della libertà.

Senatore Quagliariello, perché pensa che la dittatura dei “nuovi diritti”, in nome di un’idea di libertà individuale senza limiti né confini, finisca per compromettere i diritti dei più deboli e i fondamenti della nostra civiltà?

A me sembra che se ci occupiamo di strutture e non di sovrastrutture, dobbiamo riconoscere che da una parte c’è chi ritiene che le tradizioni abbiano un senso e un peso, e che ci si possa aggiornare ma rispettandole. Questo è un atteggiamento che definirei liberal-conservatore. E dall’altra parte esiste un paradigma per il quale ogni desiderio individuale si traduce in diritto. Tale diritto in qualche modo è il presupposto per richiederne un altro: si crea una sorta di spirale che non ha un termine.

Cosa produce tale spirale?

Ciò porta a prescindere completamente dalla tradizione e al sedimentato del vissuto e quindi alla fine travolge il processo di civilizzazione in nome di una civiltà superiore.

Con quali conseguenze?

Molto spesso questo paradigma, se portato alle estreme conseguenze, penalizza i più deboli. Prendiamo il caso del cosiddetto utero in affitto: il desiderio di un figlio viene rivendicato, anche se si tratta di un qualcosa di impossibile nel momento in cui si rispetta il dato di natura. Ciò porta inevitabilmente a passare sopra al diritto di chi nasce, che oggettivamente è più debole, e alla propria identità perché essa gli viene negata. In secondo luogo è una pratica alla quale può accedere solo chi è più ricco, quindi vengono così colpite due debolezze: la debolezza esistenziale e quella economica.

Esiste un modo per declinare la genitorialità in base alle nuove e mutevoli esigenze della società, senza svilirne il significato?

Credo che ad un certo punto ci si debba fermare e il massimo dove si può arrivare è già previsto nella legge sulle adozioni per quello che riguarda le adozioni speciali, ovvero in situazioni estreme che prescindono dal dato naturale ma che non vadano in alcun caso contro di esso.

Perché sostiene nel libro che chi vuole andare oltre quel punto, evidentemente mette in dubbio l’origine?

Perché rischia di venire meno uno dei processi di civilizzazione basati sul cristianesimo, un dato di fatto che non riguarda solo i credenti ma anche chi ritiene che quel processo vada difeso nella sua essenza, pur nella possibilità di essere corretto o rivisto.

Quale il nesso tra l’attacco alla vita e la crisi dell’umanesimo occidentale, anche alla luce degli ultimi due pontificati?

Leggo ciò che papa Francesco ha scritto sui temi etici, come l’aborto e l’eutanasia, ovvero il testo prodotto in occasione della visita dal Pontefice dell’associazione Levatino che è assolutamente in linea con la traccia dei pontificati precedenti. Piuttosto il problema è che in una società dell’immagine e della comunicazione, conta moltissimo oltre che la testualità anche l’accento che viene messo su un tema o su un altro. Personalmente non ho nulla da obiettare a Francesco, noto che mentre alcune prese di posizione sono assai poco note, ve ne sono altre di matrice sociale che invece hanno molta più diffusione: e in qualche modo creano una sensazione di geometria variabile.

La crisi dell’umanesimo occidentale si riverbera anche nella vita politica italiana?

Esiste un problema di fondamenti e ciò riguarda anche la politica, che ha perso profondità e rapporto con il pensiero forte, riducendosi molto spesso a quotidianità, quando non a impressione. E di questo ne risente ovviamente l’assetto istituzionale: o questo viene percepito come qualcosa di sganciato dalla politica quotidiana, oppure dà una sensazione di fibrillazione che è eccessiva e che quindi perde un rapporto con la stabilità, laddove non vanno bene né l’una né l’altra. Un sistema rappresentativo che abbia profondità è un sistema nel quale la politica ha tutto il suo spazio, ma esso non produce né instabilità né fibrillazione.

La fibrillazione di cui parla è molto presente anche in questi giorni di forti tensioni nel governo: come uscirne?

Credo che questa sia stata una legislatura disgraziata, che però che un risultato lo ha raggiunto: l’elettorato è tornato bipolare. È un dato di fatto rispetto alle ultime elezioni, quando sembrava che invece fosse nato un tripolarismo perfetto. Lo sforzo che bisognerebbe fare credo sia quello di rafforzare tale logica bipolare, ancorando i due poli ad un pensiero forte. Noto però con raccapriccio che invece si va verso la direzione di trovare strumenti, come la legge elettorale, che possano smontare il bipolarismo per far perdere l’unico risultato positivo di questa legislatura.

Esclude quindi una sua presenza tra i responsabili pro-Conte come apparso su certa stampa?

Ma le sembra che una persona che esprime posizioni del genere in un libro possa pensare di aggregarsi a questo governo invece che lavorare per ricostruire un equilibrio bipolare e rinvigorire l’area liberal-conservatrice del centrodestra? Dopo aver detto tutto quello che abbiamo detto, sarebbe una cosa da sputarsi nello specchio.

twitter@FDepalo


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