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Ristorazione, ecco come cresce il Made in Italy

Novantasei miliardi di euro di produzione, 46 miliardi di valore aggiunto, 1,2 milioni di addetti. Sono sono alcuni dei numeri che riguardano l’impresa della ristorazione italiana, uno dei settori che maggiormente ha “tenuto” durante la crisi economica. Con 20 miliardi di euro di acquisti di prodotti alimentari è infatti uno dei punti di forza dell’intera filiera agroalimentare nazionale, oltre che un grande sostegno per il prezioso marchio del Made in Italy.

IL VALORE DEL COMPARTO

Il tema è stato al centro del dinner talk “Ristorazione, eccellenza italiana” tenuto a Palazzo Ferrajoli e organizzato dalla Federazione italiana pubblici esercizi (Fipe). L’incontro, che ha rappresentato anche un appello a intervenire diretto in particolare al mondo della politica, ha permesso di fare un bilancio sul contributo economico del settore. Il tentativo, come ha spiegato il presidente della Fipe Enrico Stoppani, è stato quello di “trasmettere non soltanto i problemi, ma i valori sociali ed economici del comparto”. Presenti al dibattito, insieme a Stoppani, Andrea Illy, Carlo Cracco e il sottosegretario al ministero dello Sviluppo economico Alessia Morani.

RISTORAZIONE IN CIFRE

Il valore aggiunto dei servizi di ristorazione, come riporta il report “Il valore della ristorazione italiana” è stimato nel 2018 in oltre 46 miliardi di euro. Dopo un lungo periodo di stagnazione e poi addirittura di contrazione, tra l’altro, l’aggregato ha ripreso un profilo di crescita tornando ai livelli pre-crisi. Il trend positivo, ovviamente, si ripercuote anche sull’occupazione. Il settore conta infatti poco meno di 1,2 milioni di occupati e risulta in costante crescita dal 2013, con un aumento in 6 anni del 19%. Del resto, l’occupazione generata dalla ristorazione costituisce la fetta più importante dell’intero comparto “Alberghi e pubblici esercizi”, raggiungendo una quota del 79%.

ITALIA, INFLUENCER MONDIALE

Serve, però, come hanno sottolineato i relatori, un rafforzamento delle politiche a sostegno del settore, alla pari di altri Paesi europei. Tra le proposte avanzate, quella di un tavolo interistituzionale che rimetta ordine al al comparto, lavorando, come ha riferito Stoppani, su “qualità, innovazione, formazione e necessità di incentivi”. Il settore food, del resto, rappresenta un valore aggiunto per il nostro Paese, “di gran lunga il maggiore influencer a livello mondiale”, come scriveva il Corriere della Sera riportando i dati di una ricerca realizzata dall’Università del Minnesota e pubblicata sul Journal of cultural economics.

TREND IN CRESCITA

Con oltre 300mila imprese, infatti, la ristorazione italiana costituisce un asset straordinario dell’economia nazionale. Nel solo 2019 la spesa delle famiglie nella ristorazione ha raggiunto gli 86 miliardi di euro, con un incremento sull’anno precedente pari allo 0,7% e del 7,2% negli ultimi dieci anni.

QUALITÀ E FORMAZIONE

Tra i punti dove intervenire, però, ci sono anche qualità e formazione. “La Spagna ci sta asfaltando con locali impeccabili”, ha dichiarato Illy. “Bisogna alzare il livello perché la maggior parte dei locali che chiudono sono di avventurieri. Per migliorare la qualità ci vuole un grande sforzo di formazione”. Nel corso del solo anno passato, infatti, hanno cessato l’attività 26mila realtà tra bar e ristoranti. Un settore come questo, infatti, richiede competenze manageriali solide, non sempre in possesso di chi decidere di mettere su un’imprese in questo settore.

I RISCHI DEL SETTORE

Secondo i recentissimi dati di Infocamere, infatti, a tre anni dall’apertura solo il 50% delle imprese rimane attivo e a cinque anni dalla nascita sei aziende su dieci hanno cessato l’attività. “Da noi c’è la fila c’è per venire a lavorare. ma il più delle volte sono operatori ancora crudi, molto giovani, senza esperienza, o con un’età intermedia in cui il treno della qualità è perso”, ha riferito Cracco. “Dalle scuole alberghiere nascono dei semi – ha continuato lo chef – ma poi vanno coltivati e curati per farli crescere”.

IL PARERE DELLA POLITICA

“Va fatto un lavoro profondo, soprattutto sulla formazione”, ha convenuto il sottosegretario. “Bisogna cogliere la sfida del cambiamento“.

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