Attenti alle illusioni. Anche sul Mezzogiorno, tornato improvvisamente al centro dell’agenda politica con un nuovo piano di rilancio, stavolta di marca giallorossa. Perché, dice a Formiche.net Nicola Rossi, economista, ex presidente dell’Istituto Bruno Leoni e teorico della flat tax, i conti non tornano.
Rossi, l’esecutivo ha da poco presentato un piano di rilancio per il Mezzogiorno. E sinceramente non è la prima volta che si dà vita a simili progetti. Eppure il Pil del Sud rimane anemico da decenni…
Manca, più di ogni altra cosa, una riflessione sul perché le scelte degli ultimi vent’anni non solo non abbiano dato i risultati sperati ma abbiano contribuito a rendere ancora più grave la situazione del Mezzogiorno. E non a caso il piano è in piena continuità culturale con quelle scelte. La stessa riserva di investimenti a favore del Mezzogiorno (123 miliardi a regime, ndr) è tutt’altro che una novità.
Dunque nulla di nuovo?
Più che altro è difficile comprendere come una riserva di questo tipo possa incidere sulle tendenze attuali se non nel breve periodo. Facile immaginare che la riserva possa tradursi in investimenti a ridotta redditività economica e molto probabilmente anche sociale.
Fatto sta che l’Italia è di nuovo nelle sabbie mobili, semmai ne fosse mai uscita. Due giorni fa la Commissione europea ha tagliato ancora una volta il nostro Pil.
Nonostante quel che alcuni pensano, non è la Commissione europea che taglia il nostro Pil ma l’operare congiunto di due fattori tutti interni: il ridotto tasso di crescita della produttività ed il crescente peso del debito pubblico.
Senza creare alibi, ci sarebbe la Germania al palo e noi esportiamo molto sul mercato tedesco…
Certo, la congiuntura internazionale ed europea (ed in particolare tedesca) non aiuta ma il punto è sempre lo stesso ormai da decenni: quando il resto del mondo rallenta noi ci fermiamo o, addirittura, arretriamo.
Magari si potrebbe cominciare ad abbassare le tasse. Nelle prossime settimane l’esecutivo si concentrerà su una riforma dell’Irpef, per ridisegnare gli scaglioni
I problemi del nostro fisco sono sistemici ed attengono tanto alla struttura di alcune imposte quanto – e forse ancor di più – al rapporto fra imposte diverse e quindi, ad esempio, al trattamento di contribuenti con identico imponibile ma diversa fonte di reddito ovvero con strutture familiari diverse.
C’è chi ha suggerito anche di lavorare al contrario a una sforbiciata sull’Imu sulle seconde case. Lei che dice?
Si continua a non capire che ciò di cui abbiamo bisogno non è un intervento su questa o quella imposta ma sul sistema tributario nel suo complesso. Intervenire sulle singole imposte, in questo contesto, non può che rendere ancora più seri i problemi.
Rossi parliamo di pensioni. La quota 100 si avvia al suo esaurimento naturale. Ma senza un intervento ci saranno degli scaloni, con persone che improvvisamente non potranno più andare in pensione a 62 anni…
La quota 100 è stata un errore. Bisognava intervenire chirurgicamente per restituire un po’ di flessibilità al sistema irrigidito dalle scelte del 2011. Conclusione: stiamo tornando ad avere le pensioni di annata come le avevamo un quarto di secolo fa. E pochi ricordano che anche per questo motivo 25 anni fa si andò alla riforma Dini.
Soluzioni?
La soluzione è quella già immaginata allora: flessibilità in uscita attuarialmente sostenibile. Sarebbe molto più utile utilizzare qualche risorsa per costruire un sistema di prestiti contributivi per gli occupati con carriere discontinue.