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Perché il caso Salvini deve far riflettere. Il commento di Vespa

Con il voto del Senato che ha autorizzato il processo a Matteo Salvini sul caso della nave Gregoretti, accogliendo la richiesta del Tribunale dei ministri di Catania, si è aperta una fase nuova che porterà polemiche, speculazioni elettorali di segno opposto, dubbi giuridici fino alla sentenza. Il leader leghista ha ribadito di aver voluto andare davanti al tribunale con l’orgoglio di aver salvato migliaia di vite mentre non manderebbe mai a giudizio i leader della sinistra che, invece, vogliono “eliminarlo per via giudiziaria”. Ora attende il giudizio del tribunale e “del popolo italiano quando si voterà”. Il suo approccio allo scontro non è piaciuto a Giulia Bongiorno, parlamentare e avvocato, e l’idea di aver scelto di andare davanti ai giudici poteva valere per la Giunta delle immunità, quando Salvini ordinò ai suoi di votargli contro, ma non per l’Aula dov’era la maggioranza a volerlo mandare a processo a prescindere dai suoi desideri. Tanto che i leghisti sono usciti dall’Aula senza votare.

L’intervento di Salvini è stato dettagliato con accenni di sfida che la maggioranza non deve sottovalutare. Ha rivendicato di aver difeso i confini della Patria, di aver salvato migliaia di vite (da 15 mila morti in mare in tre anni a 2 mila), di aver mantenuto la promessa elettorale sul blocco degli sbarchi (anche se forse vinse le elezioni promettendo di espellere 500 mila irregolari), di aver agito nella collegialità del governo come dimostrato dalle dichiarazioni degli esponenti del Movimento 5 Stelle e come sosteneva anche il presidente Giuseppe Conte, cioè consentendo lo sbarco solo dopo la garanzia dei ricollocamenti. Il ministro Luciana Lamorgese, ha aggiunto il leader leghista, oggi fa lo stesso.

Ed è un dato di fatto che gli ultimi arrivi di navi di Ong siano stati gestiti dal Viminale consentendo lo sbarco solo dopo un’intesa sui ricollocamenti, resa meno difficile con l’accordo di Malta. Per esempio, una decina di giorni fa la Open Arms è arrivata a Pozzallo con 363 migranti a bordo dopo aver atteso cinque giorni e altri casi analoghi si sono verificati nei mesi scorsi. La dinamica sembra la stessa di quando al Viminale c’era Salvini: se si rilegge la richiesta di autorizzazione a procedere per il caso Diciotti, il Tribunale dei ministri di Catania scrisse che l’attesa del vertice europeo del 24 agosto 2018 che doveva decidere il ricollocamento non era condizione “propedeutica e necessaria” per autorizzare lo sbarco perché i migranti potevano essere sbarcati salvo poi essere smistati in base all’accordo europeo.

Salvini non ha citato quel caso, ma ha inviato un messaggio chiarissimo. “Io non denuncio nessuno”, ha premesso, ma come l’inchiesta sul caso Gregoretti è partita da un esposto di Legambiente Sicilia, così potrebbe esserci un’associazione in Italia che faccia lo stesso nei confronti dell’attuale governo. Un messaggio altrettanto chiaro è stato rivolto a Conte: visto che era d’accordo sullo sbarco solo dopo il ricollocamento, sarà chiamato in tribunale a spiegarlo. La senatrice Bongiorno aveva concluso da giurista il suo intervento in aula: “Se voterete a favore saremo al crepuscolo della democrazia parlamentare e della separazione dei poteri”.

Il caso Salvini dovrebbe servire a una riflessione generale. Se sul caso specifico ha detto “facciamolo decidere a un giudice”, certo di un’assoluzione per poi “riprendere il mano questo Paese dopo il giudizio del Tribunale”, il leader leghista si è definito una “cavia” perché “è un precedente pericoloso” e ha rivolto un appello alla maggioranza per un’unità di intenti sui valori fondamentali garantendo che, se diventerà minoranza, “avrà in me un difensore della sua azione politica”.

Ma il peggio deve ancora venire. Nelle prossime settimane ci saranno le decisioni sulla più complicata vicenda della Open Arms, per la quale a chiedere l’autorizzazione a procedere è stato il Tribunale dei ministri di Palermo: un caso a cavallo della crisi di governo dello scorso agosto per il quale Salvini non potrà invocare la collegialità. Pierferdinando Casini, che sta in Parlamento da 37 anni, non intende delegare alla magistratura i compiti della politica perché l’avversario si batte nelle urne e, pur lontanissimo da Salvini, ha votato contro la richiesta di autorizzazione come fu per la Diciotti. L’Open Arms è un’altra storia. Ma tra un leader sotto processo, un ministro dell’Interno che sembra fare le stesse scelte opinabili codice alla mano, fibrillazioni politiche di ogni tipo, non è che prima o poi qualcuno darà ragione a Giancarlo Giorgetti che voleva un tavolo costituente?



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