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Singapore, lo skyline a 50 anni di distanza. L’analisi di Panizza

Il grattacielo Oversea-Chinese Banking Corporation Center è stato costruito a Singapore, su progetto di I.M.Pei, nel 1976, anno in cui non era ancora esploso il Post-Modern, era lontano l’Hi-Tec e, soprattutto il grattacielo rappresentava un modello urbano che apparteneva quasi interamente alla cultura statunitense. Questo edificio, pensato da Pei, architetto cinese naturalizzato americano, con grande esperienza nella realizzazione di edifici alti, propone una soluzione decisamente innovativa, ideata proprio per offrire un’immagine che non fosse la riproposizione fedele del prisma di cristallo, indifferenziato nella forma e nei materiali nell’intero suo sviluppo verticale.

Nella ricerca del simbolismo, che ha accompagnato costantemente l’immagine del grattacielo, non è mai stata abbandonata l’espressione paradossale che rincorre l’idea della robustezza, ma anche della leggerezza, non perdendo di vista neppure l’esaltazione del record, comunque legato alla definizione propria di grattacielo, un edificio che, da Sullivan in poi, ha sempre preteso di imporre il suo individualismo.

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Il volume di questa banca è composto da alcuni elementi ben riconoscibili che, peraltro, descrivono fedelmente anche il sistema strutturale: due nuclei pesanti semicilindrici, che contengono i collegamenti verticali e i servizi, posti a sostegno dei solai. L’immagine in elevazione è affidata a schermi tecnologici che, sporgenti dal blocco monolitico, manifestano, oltre alla saldezza metaforica della banca, la capacità di resistere, non solo meccanicamente, alle difficili condizioni climatiche di Singapore.

Questa figura, nella pienezza del suo racconto stilistico, è rimasta integra; quello che è mutato profondamente è l’ambiente circostante. L’O.C.B.C. non è più il mastodonte che sovrasta un’edilizia minuta, fatta di case a due piani, all’apparenza instabili, quasi galleggianti come la flotta delle piccole imbarcazioni ormeggiate sul lungofiume. Il profilo della città è oggi completamente diverso: il grattacielo di Pei, perfettamente conservato, non è più l’elemento svettante dello skyline; altre torri, molto più alte, sono state costruite a fianco e non lo soffocano solo per la sua privilegiata posizione in prima fila. Ma, soprattutto, quello che è del tutto cambiato è il tessuto minuto e denso delle case basse. Queste non occupano più la superficie più estesa; hanno lasciato il campo alle costruzioni alte e intensive, sopraffatte dall’alto valore del suolo che non può permettersi, in una zona centrale, di fronte ai più significativi edifici dell’epoca coloniale, di continuare a ospitare edilizia a basso reddito.

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È però cambiata anche la moda: il grattacielo, che quarantacinque anni fa rappresentava il costruire moderno, dove trovare tutti i servizi e le migliori condizioni di benessere, oggi non identifica più il modello esclusivo del comfort ambientale. Le pretese per trascorrere una serata in compagnia sono altre. Ci si rivolge al tessuto minuto dell’edilizia che affaccia sul fiume, all’interno di ambienti che offrano il carattere dell’agglomerato che si è formato nel tempo e si è sedimentato, sebbene abbia attraversato consistenti cambiamenti d’uso.

La flotta delle piccole imbarcazioni è rimasta numerosa: si è trasformata in un insieme di natanti colorati e luminosi che accompagnano i turisti sotto i ponti o a visitare i vecchi approdi.

Questo confronto rappresenta bene i cambiamenti avvenuti a Singapore negli ultimi 50 anni. È infatti diventata sempre di più una città che vive freneticamente la nostra epoca in tutti gli aspetti architettonici ma anche sociali, economici, finanziari e turistici, come società multietnica. In tutto ciò ha non pochi punti interessanti in comune sia con la vicina Kuala Lumpur sia con Dubai e le altre sorprendenti città del Golfo.

(Foto di Mario Panizza)


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