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Come capire Roma (pensando all’Emilia-Romagna). Lo spiega Zevi

Di Tobia Zevi

A pochi giorni dal voto dell’Emilia-Romagna, Roma torna nell’occhio del ciclone. Il terrore è questo: trovarsi schiacciati per più di un anno fra la “strategia dei citofoni” – Salvini che urla come King Kong davanti a un cassonetto, insegue rom e parla con spacciatori immaginari, attorniato da miracolati degli anni di Storace e Alemanno – e una rediviva Raggi, che può gettarsi in polemiche mediatiche che le permettono di tenersi lontana dalle sue responsabilità pubbliche. Ve lo immaginate un 2020 così? Roma, invece, va riportata al centro della discussione su tre fronti: come uscire dalla crisi, seriamente e senza promettere la luna; come ricomporsi in comunità; come presentarsi all’appuntamento del 2021, quello dei 150 anni di Roma Capitale. Serviranno due risorse per farlo: la conoscenza della città – e dei romani – e un impegno da “missionari laici”.

C’è una città che letteralmente non ce la fa – la povertà assoluta a Roma cresce di pari passo con quella nazionale (raddoppiata in dieci anni) – e si registrano un disagio e una fatica diffusa, legati alla solitudine, all’isolamento degli anziani, all’assenza di servizi per minori e famiglie, alle difficoltà economiche dei nuclei familiari (anche in presenza di occupazioni stabili degli adulti), alle condizioni di povertà educativa, alle difficoltà di accesso al mercato del lavoro e a redditi equi, all’accesso a una piena autonomia da parte dei giovani (l’ultimo Rapporto Caritas parla di conflitto intergenerazionale). La spossatezza aumenta in assenza di una direzione chiara di futuro.

Per questo l’Osservatorio che presiedo ha scelto di interrogare i romani – attraverso un sondaggio condotto dall’Istituto Piepoli – su quello che i cittadini della Capitale pensano della loro città (una ricerca discussa alcuni giorni fa sul Corriere della Sera, che ha dato particolare rilievo alla parte “politica” del sondaggio). Domande semplici, per capire la percezione del presente e l’idea di futuro dei romani. Alla prima domanda, “oggi a Roma si vive…”, risponde “male e molto male” il 65% dei romani, con un conseguente 64% che trova la situazione peggiorata rispetto a cinque anni fa. Pensando agli aspetti positivi della città, non c’è nulla che venga dal presente: bellezza dei monumenti, del centro storico e storia sono i primi tre elementi citati. Impressionante anche come tutte le lamentele riguardino i servizi di base: pulizia strade al primo posto (40%), il traffico urbano al 38,5% e poi i trasporti e lo stato delle strade. Qualsiasi altro problema segnalato è sotto al 4%. A Roma ci si lamenta, in sostanza, del mancato funzionamento dell’essenziale.

Il paradosso – quando si interrogano i romani sul futuro – è che vedono (di qui a dieci anni) una città più innovativa, più creativa, più internazionale e a portata delle famiglie; credono che a far migliorare la città sarà soprattutto il lavoro della società civile (l’88%); conseguentemente immaginano un sindaco che da questa provenga (63%) e non dai partiti (17%), e lo vorrebbero più amministratore (73%), che “leader” (21%). In sostanza, quando messi di fronte all’immagine del futuro, i romani sembrano pregare per il ritorno alla normalità e alla vivibilità, ma sognano in prospettiva una città diversa. E più che la sfiducia nella politica, prevale l’idea di una società civile che sappia rialzarsi per dare indirizzo alla città. Il giudizio sulla attuale Giunta, infine, registra un 72% di insoddisfatti.

Un sondaggio non dice tutto, non dà conto di tutto. Ma interrogare la città è l’unica via plausibile per farla ripartire. Si può fare con i sondaggi e si deve fare viaggiando nella città. Una maratona dell’ascolto, della presa di coscienza collettiva e morale, una chiamata all’impegno. Cosa potrebbe accadere, invece? La manifestazione di Salvini del 16 febbraio fa presagire una nuova campagna di Emilia. Dentro Roma trova degrado a sufficienza per eccitare gli animi più esasperati; trova un substrato proto-fascista che parla la sua stessa lingua, pronto a offrirglisi per un pugno di riso (dopo Alemanno, neanche loro credevano fosse possibile immaginare un altro giro nel sottobosco di governo della città); trova una Sindaca che non aspetta altro che buttarsi in un conflitto tutto mediatico.

Il centrosinistra ci parlerà di modello Emilia Romagna, per trovare uno schema subito spendibile per fare, alla fine, quello che fa anche la Raggi: trovarsi un nemico per non guardare dentro se stesso. E qui critica e auto-critica sono necessarie: il clima che ha portato il centro-sinistra a vincere in Emilia-Romagna ora non esiste, è tutto da costruire. Il Pd viene da un decennio – e più – di lotte fratricide che non hanno mai portato alla ricostruzione di una comunità politica post-correntizia; non ha da mettere sul piatto una tradizione recente di governo che abbia retto alla prova del tempo, come nel caso di Bonaccini; non ha ancora mostrato una forza dal basso tale da far cambiare direzione al discorso pubblico, come accaduto con le Sardine; non ha in corso operazioni di costruzione di una sinistra al tempo stesso radicale, moderna ed efficace. Come dimostra il sondaggio, è tutto ancora sotto pelle.

Speriamo, insomma, che il ceto politico che invoca il “campo largo” e le “alleanze fra mondo civico e centro-sinistra” non stia parlando solo di sé, ovvero del ceto politico di sempre. La prova è ben più alta, non basta mettere insieme 50 persone ben note e farle urlare sui social contro Salvini. L’Emilia Romagna ci ha insegnato altro. Siamo tutti chiamati a partecipare per salvare Roma. Scriveva Tocqueville che “l’uomo, posto di fronte a un pericolo imminente, raramente resta al suo livello abituale; o si eleva molto al di sopra o cade al di sotto. Ciò succede anche ai popoli”. E a quello romano?

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