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Tre buone ragioni per bocciare la riforma Bonafede. Parla Mirabelli

“Invece che spendere tante energie sull’eliminazione della prescrizione, occorrerebbe impegnarsi concretamente per garantire tempi ragionevoli del processo”. Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte costituzionale, già vicepresidente del Csm, non si appassiona alla baruffa politica sulla riforma Bonafede. Anche perché ha già emesso il suo verdetto.

Mirabelli, molto rumore per nulla?

Prima della politica, prima della giurisprudenza, si può ricorrere al buonsenso. Ci può essere un esercizio della potestà punitiva dello Stato indefinito nel tempo? Qualsiasi fatto che costituisca reato può essere punito anche a un’enorme distanza di tempo da quando è stato commesso? Il senso comune risponderebbe di no. In uno Stato autoritario, forse, la risposta sarebbe diversa.

Quindi la riforma Bonafede non la convince. Perché?

Per almeno due ragioni di principio. La prima: la pena deve tendere alla rieducazione del condannato. Dev’essere comminata e scontata in un arco di tempo ragionevole. Se così non avviene e non ne viene garantita l’esecuzione la condanna si può estinguere.

La seconda?

La ragionevole durata del processo. Può apparire altra cosa rispetto alla prescrizione, ma sono due facce della stessa medaglia. La Costituzione parla chiaro, e usa un termine molto forte: la legge “assicura” la ragionevole durata del processo. Dell’intero processo, dal primo all’ultimo grado di giudizio.

La maggioranza ha trovato un compromesso sul lodo Conte bis. O meglio, una parte della maggioranza…

Non mi pare un gran compromesso, permangono seri dubbi di costituzionalità. Se, come prescrive la Costituzione, l’imputato si presume innocente fino alla condanna definitiva, non si può presumere colpevole dopo uno o due gradi di giudizio.

Matteo Renzi rilancia con il lodo Annibali: rinvio di un anno e nel frattempo si riforma il processo.

Mi sembra che provi a ibernare per un po’ il problema, ma non dia una soluzione in un senso o nell’altro. In termini calcistici si direbbe: uno a uno e palla al centro. Certo, potrebbe permettere un approfondimento della riforma dei tempi del processo meno legato all’enfasi mediatica.

Anche la Cassazione ha cassato la riforma.

È naturale, la prescrizione fa “morire” prima i processi. Se non muoiono arrivano in Cassazione, e la intasano. Ma il punto di principio è un altro: il processo non può trasformarsi nella pena.

Cioè?

Non mi sembra una soluzione caricare le inerzie e i tempi morti del processo sulle spalle dell’imputato. Se dal primo grado all’appello passano tempi sterminati è colpa dell’imputato o della negligenza dello Stato?

Come se ne esce?

Il legislatore può stabilire la durata della prescrizione a seconda della gravità del reato. Se il reato è minore allora lo sarà anche la durata, se è grave i tempi possono estendersi fino alla durata massima.

Come si fa a impedire che la prescrizione si trasformi in un alibi?

Per questo ci sono istituti appositi con cui impedire alla difesa di assumere un atteggiamento dilatorio: la sospensione e l’interruzione. Il tempo non decorre quando si sospende il processo a causa di rinvii e atti imputabili alla difesa. Sono congegni razionali su cui il legislatore può intervenire.

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