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Trump parla all’Unione dal podio del consenso (mai così alto finora)

L’ultimo Discorso sulla Stato dell’Unione del primo mandato presidenziale di Donald Trump è arrivato ieri sera in un momento ottimo per lui e pessimo per i rivali Democratici. Il pastrocchio in Iowa — dove i Dem non sono riusciti a gestire i dati della prima votazione delle primarie — si è sommato ai nuovi dati sull’approval. Adesso Trump piace a più americani di prima: Gallup lo dà al 49 per cento, un valore mai raggiunto. E a questo punto della presidenza, sul piano economico addirittura il suo livello di approvazione è il più alto degli ultimi vent’anni. Contesto che ha permesso al presidente di arrivare rilassato al SOTU.

“Il meglio deve ancora venire”, cuore dello spot del Super Bowl, è stato anche il senso del discorso di Trump. Propositivo e positivo, non potrebbe essere altrimenti nell’anno in cui il presidente deve cercare la rielezione. Undici gli ospiti ad effetto, scelti come sempre accade sulla base del messaggio da diffondere. Storie toccanti condite con il giusto spin politico — segnali verso una traiettoria ideologica.

Tra questi per esempio c’era Juan Guaidò, il leader dell’opposizione venezuelana al regime chavista di Nicolas Maduro. Trump lo ha presentato come “il presidente legittimo del Venezuela”; è la difesa dei diritti civili, della libertà, sempre e ovunque, faro Usa anche in tempi di America First. Poi i genitori di Kayla Mueller, giovane cooperante americana rapita e poi uccisa dai miliziani di Al Bagdadi; simbolo della vittoria sul terrorismo fatto Stato. E ancora il veterano Charles McGee, una leggenda: pilota vicino ai cent’anni ha un pronipote tredicenne che sogna di diventare un astronauta ed è già un alunno prodigioso; storia americana, mix tra talento, tradizione e tecnologia ai tempi del confronto con la Cina e dello Space Command. Poi un passaggio sugli “eroi” e la citazione, tra gli altri, di due figure storiche, Harriet Tubman, donna che s’è battuta contro la schiavitù, e Frederick Douglass, intellettuale simbolo dell’abolizionismo e del diritto di voto per le donne.

Ogni racconto un tema, affrontato come uno dei “grandi successi” della sua amministrazione. In mezzo i grandi classici: l’immigrazione irregolare e il Muro col Messico su tutti. Sono solo cento le miglia costruite, ma Trump ha annunciato che “altre 500 saranno pronti entro il prossimo anno”. È un richiamo ai suoi. E poi la guerra commerciale: la tattica dei dazi “ha funzionato”, ha detto, ricordando che con la Cina si è arrivati a un framework, e ora “abbiamo le migliori relazioni da sempre”.

Visto il momento, era logico aspettarsi un comizio più di un’analisi oggettiva sullo stato delle cose. E così è stato. D’altronde era stata la stessa Speaker Nancy Pelosi, istituzione ospitante, a evitare le formule di rito per presentare il presidente. Niente ossequi e introduzioni, orpelli tipici in questo che è il più alto dei passaggi istituzionali americani. Solo un secco: “Ecco a voi il presidente degli Stati Uniti”. Poi gli ha dato la mano, ma lui l’ha ignorata e s’è rivolto all’assise. Pelosi ha aspettato fino all’ultima parola di Trump, ma alla fine ha raccolto i fogli con il Discorso scritto e li ha platealmente strappati.

Oggi il Senato chiude definitivamente il processo di impeachment. Un passaggio che a tutti gli effetti non ha indebolito Trump, anzi. E il presidente l’ha trattato come un elemento insignificante. Nessun cenno alla messa in stato di accusa durante il Discorso. E i Democratici sono nervosi. L’assalto alla diligenza è fallito, e ieri le primarie in Iowa — oltre a far segnare un vantaggio a un candidato outsider che finora non ha con sé il partito — sono sembrate riaprire la stagione di ombre e incomprensioni che segnò le presidenziali del 2016.

“L’hanno già detto che è stata la Russia?” commentava ironico Trump, training autogeno pre-Sotu ritwittato da mezzo mondo. Il riferimento è chiaro, parlava del Russiagate, l’azione di interferenza con cui Mosca ha alterato il corso delle elezioni di quattro anni fa. Trump dice che non c’è mai stata; un’inchiesta del dipartimento di Giustizia e dell’intelligence l’ha comprovata; per i Democratici c’è stata collusione tra russi e il candidato repubblicano. Anche in quel caso, come con l’impeachment, poco è cambiato sui consensi trumpiani. Ma tutto ha contribuito a polarizzare i fronti.



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