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Energia, così Erdogan sogna l’egemonia turca nel Mediterraneo

Oggi, tutti i Paesi rivieraschi si muovono sul mare costituendo, in primo luogo, le Zee, Zone economiche speciali, e questo accade anche nel già affollatissimo Mediterraneo, ridisegnando proiezioni di potenza, possibili accordi futuri, future alleanze.

La Turchia si è alleata oggi con la Tripolitania di Al-Serraj per evitare le pesanti condizioni, da tempo poste sulla sua Zee, da Cipro e Grecia.
Ankara vuole, in linea di principio, la equiparazione economica, a Cipro, tra le due etnie, quella greca e la turca. Quindi, costringe, spesso manu militari, le navi di esplorazione esterne a allontanarsi dal mare cipriota, che risulta essere una ottima area di estrazione futura.

L’idea di Ankara, finora risultata efficace, serve a separare il contatto e la continuità greca con le aree limitrofe marittime di Cipro e Egitto; in modo quindi da separare l’operazione del gasdotto EastMed dal controllo greco e a rompere, quindi, la linea di continuità, che serve soprattutto all’Italia, tra Europa meridionale e Africa.
Inutile, qui, andare per avvocati e corti di giustizia più o meno universali. Occorre “portare la spada”, come peraltro consiglia anche Nostro Signore Gesù Cristo.

La nuova Zee turca va dalla linea Kas-Marmaris, ai bordi dell’isola di Kastellorizo; e arriva a sud di Creta con un triangolo che si infila nell’area marittima tra le Zee di Grecia, Cipro e Egitto. L’obiettivo è quello, evidentemente, di isolare la Zee greca dalle zone cipriote e del Mediterraneo orientale e meridionale, che già sono state classificate come particolarmente ricche di gas e petrolio. Ankara, finora, non ha specificato gli esatti confini geografici e geo-matematici della sua nuova Zee, ma anche l’Egitto la ha definita “illegale” e la Grecia la ha bollata come “assurda”.

Un calcolo strategico possibile è quello che ci fa ritenere come Ankara ritenga ancora Al Serraj, in Tripolitania, una carta da giocare per una sua futura possibile vittoria contro Khalifa Haftar; ma è probabile che Erdogan legga semplicemente Al-Serraj, proprio grazie alle sue affiliazioni occidentaliste, come la carta comunque più sicura.
Gli occidentali non abbandoneranno Al-Serraj e la sua Tripolitania piena di jihadisti e di Fratelli Musulmani, e questa è musica per le orecchie di Erdogan, che nuon vuole rimanere solo a reggere il cerino di uno stato fallito, la Tripolitania, quanti altri mai ce ne furono.

O si è intelligenti in proprio, e Erdogan certamente lo è, oltre che esperto stratega, oppure ci si fida della stupidità altrui e, in questo caso, nulla è meglio della politica estera degli occidentali.

Ma che cosa è poi una Zee, in linea di principio? Secondo la Convenzione del Diritto del Mare, del 1982 ma entrata integralmente in vigore il 16 novembre 1994, essa è la zona marina di massima estensione, ma solo e comunque fino a 200 miglia, in cui uno Stato costiero esercita i suoi diritti sovrani sulla massa d’acqua per la gestione delle risorse naturali, come la pesca o l’estrazione di idrocarburi o di altre sostanze e per la protezione ecologica e biologica dell’ambiente marino. Da non trascurare nemmeno la ricerca scientifica sui mari, che è oggi essenziale per l’evoluzione tecnologica.

Il limite esterno della Zee coincide, quando ciò non sia diversamente stabilito, con quello della piattaforma continentale in cui lo Stato in questione ha il diritto di sfruttare le risorse minerarie.

In questo caso, la Zee può addirittura non essere nemmeno proclamata ufficialmente, ma lo Stato rivierasco ha sempre e comunque dei diritti esclusivi e originari sulla piattaforma continentale.

L’Italia, che è ormai il Paese dei Farinelli e della antica tradizione del canto lirico dei castrati, è anche molto cauta sulla questione della Zee turco-libica ma, al vertice del Cairo dell’8 gennaio u.s. Roma ha comunque dichiarato non valida la pretesa di Turchia e Tripolitania di contrastare le pretese di Grecia, Cipro e Francia.Per quel che riguarda la sola Tripoli, comunque, una Zee esiste già dal 2009.

Essa ingloba unilateralmente la Zona di Protezione della Pesca, stabilita nel 2005, ma la capitale libica dell’Ovest, Tripoli, ha inoltre dichiarato di aver condotto una trattativa solamente con la Grecia, trattativa cessata a causa della pretesa di Atene, così dicono a Tripoli, di prendere nella sua ZEE un isolotto sotto Creta, Gaudo, il che avrebbe modificato a proprio favore la linea di equidistanza tra Zee greca e Zona Economica Esclusiva tripolina.

Atene comunque pretende, nella discussione sulle Zee mediterranee, una equidistanza geografica rigida, che valorizzi le sue moltissime isole; mentre oggi si tende a utilizzare, in diritto marittimo, un principio di proporzionalità tra superfici marine e e lunghezza delle coste di riferimento.

I turchi hanno così proposto a Tripoli un nuovo confine più a Nord rispetto a quello accettato dalla Grecia, il che valorizza fortemente le coste della Cirenaica e dell’Anatolia, ma lede gravemente i diritti di Creta e del Dodecanneso greco.

Atene, infatti, vuole costituire la sua Zee non nell’Egeo, il che sarebbe geograficamente e politicamente ovvio, ma qui si scontra con tutta una serie di interessi confliggenti di Italia, Cipro, Turchia, Egitto, Libano e Israele, Atene vuole fare la sua Zee nel Mediterraneo Orientale.

Per la sua Zona Economica Esclusiva, la Grecia cerca accordi, da tempo, con l’Italia e l’Albania, ma Roma considera prioritaria la sola tutela della nostra pesca, mentre l’Albania ritiene invece il Trattato del 2009, come pesantemente iniquo nei confronti degli interessi marittimi albanesi.
La Grecia, dopo il buio feroce delle operazioni finanziarie tedesche contro la sua piccola economia, sta oggi ricostruendo una sua politica marittima e una sua modesta ma intelligente proiezione di potenza.

Non a caso, Atene ha subito voluto partecipare alla Emasoh, Mission Européenne de Surveillance Maritime dans le Détroit d’Hormuz, che sorveglierà i transiti, commerciali e non, appunto, nello Stretto di Hormuz.

Emasoh è guidata dalla Francia, che ha ormai uno stretto rapporto con la Grecia in funziona antiturca; e vede la partecipazione di Belgio, Danimarca, Grecia, appunto, poi Italia, Germania, Olanda e Portogallo.

Al momento, Atene ha sfruttato la durezza cipriota nei confronti della Turchia, soprattutto concedendo permessi di ricerca in aree delimitate ai bordi dalle ZEE di Israele, egiziane e cipriote.

Ankara contesta pesantemente questa autonomia marittima greca, sostenendo il diritto della comunità turco-cipriota a raccogliere la loro parte delle royalties e, comunque, ritenendo parte della Zee greca, quella in cui sono state concesse le prospezioni, di assoluta pertinenza turca.
Il Forum East-Med Gas organizzato da Cipro ha, finora, stabilizzato i rapporti tra l’isola del Labirinto, Israele e Egitto. Ma la soluzione del Forum è scritta, inevitabilmente, sulla sabbia.

Il problema vero, per Ankara, è, però, il tracciato del nuovo gasdotto EastMed, che pone fuori il territorio turco e esclude parte del mercato europeo al prossimo gasdotto progettato da Ankara insieme con la Federazione Russa.

L’Ue non ha mostrato di accettare, finora, il documento per la Zee turco-libica.
Ma l’Unione Europea, in effetti, non può contrastare efficacemente i Paesi mediterranei che si vogliano intestare una Zee palesemente eccessiva rispetto alle loro coste e al loro peso economico.

L’Italia, lo abbiamo già accennato, non ha firmato il Memorandum dello scorso 8 gennaio al Cairo. I motivi di questo atteggiamento sono molteplici: Roma non apprezza l’eccessiva autonomia turca, ma non è nemmeno contenta dei progetti marittimi greci e ciprioti, mentre la Francia protegge bene la sua Total e quindi anche l’accordo tra questa e l’Eni, tra Cipro e le coste libanesi e egiziane.

La nostra politica energetica, che non ha mai visto di buon occhio il gasdotto EastMed, apprezza e valorizza invece il gasdotto Greenstream dalle coste libiche (e tunisine) ma, d’altro canto, non protegge efficacemente nemmeno i propri interessi immediati, né in Libia né in Tunisia.

Il nesso strategico tra la politica di Ankara e quella di Tripoli è, comunque, basato su un fatto accertato: la strenua difesa, da parte di Ue, Gran Bretagna, Israele e Stati Uniti dei giacimenti di gas identificati a sud e a est di Cipro.

Quindi, Ankara deve andare altrove per certificare il suo egemonismo sui petroli e il gas, che è un diritto di passaggio e non di produzione. Anche il colonnello Gheddafi, comunque, aveva una idea molto personale e talvolta fantasiosa del diritto internazionale marittimo.

Nel 1973, il Raìs inserì nell’ambito delle acque interne libiche l’intero Golfo della Sirte, nel 2005 vi fu poi la proclamazione della Zona di Protezione della Pesca di ben 62 miglia dalle coste della Jamahyrria gheddafiana, ma poi ci fu anche la nuova Zee libica del 2009, che si estendeva fino a “quanto permette il diritto internazionale”, diceva il Colonnello della Sirte, ma si tratta di una interpretazione piuttosto soggettiva delle norme giuridiche marittime.

Cipro, ecco il vero punctum dolens della politica marittima turca, ha già stabilito le proprie Zee con l’Egitto (2003) con il Libano (2007) e con Israele (nel 2010).
La Turchia, lo ricordiamo, non ha ancora una sua propria Zee, salvo quella definita tra Ankara e la repubblica turco-cipriota, e salva l proposta di ZEE con Al-Serraj, mentre contrasta attivamente tutte le operazioni petrolifere ad Est di Cipro.

La Grecia è vincolata, da sempre, dall’obbligo Nato di non esacerbare le tensioni con la Turchia; e quindi ha cessato la costituzione della propria ZEE, ma l’attivismo di Ankara con Tripoli ha modificato la situazione e, quindi, anche le scelte geopolitiche di Atene.

Certo, ogni Stato è comunque libero, ma dovrebbe essere finalmente un diritto limitato da trattati internazionali cogenti, di definire le proprie ZEE, ma ormai i criteri giuridico-pratici sono ormai chiari e sufficientemente comuni: il primo principio è quello dell’equidistanza geometrica, mentre la linea mediana è, quasi sempre, il prodotto di un libero accordo tra le parti.

Per la delimitazione della Zee turco-libica, inoltre, è stata presa la classica direzione della equidistanza: si è tracciata una linea che va dalle acque direttamente retrostanti Kastellorizo fino, lo abbiamo già visto, alla penisola di Marmaris proprio davanti a Rodi, mentre l’area libica di questa ZEE va dal confine geografico con l’Egitto della Cirenaica fino a Derna.

Le isole greche, a parte Scarpanto, sono state del tutto trascurate dalla Zee turca, ma certamente Atene non può e non vuole trattare direttamente con la Cirenaica o con Tripoli.

E allora? La Grecia potrebbe estendere subito a 12 miglia le sue acque territoriali, oggi ancora delimitate a 6 miglia, ma c’è in gioco qui anche l’Italia che, in seguito alla decisione della Corte di Giustizia Europea del 1985, deve fare la sua Zee. Ovvero, dice la Corte di Giustizia che, sia Malta che la Libia, nello stabilire le loro ZEE, dovrebbero fermarsi al Meridiano 15°10’ che è quello dove inizia la zona di interesse di Stati terzi. Quindi, appunto, dell’Italia.

Nel mezzo di queste tematiche vi è l’estensione, voluta dal governo di Algeri, della propria Zee fino al mare sardo centro-occidentale, sovrapponendosi alla Zona di Protezione Ecologica italiana e alla piattaforma continentale italo-spagnola.

La tensione tra Madrid e Algeri è una ruggine vecchissima, che va dal ruolo della nuova Spagna post-franchista nel Sahara spagnolo e nel sostegno di Madrid, mai rinnegato, al Frente Polisario y del Rio de Oro fino a tutta una vasta sequenza di vecchie e nuove tensioni.

Ovvio il senso politico dell’operazione algerina: l’Algeria si vuole considerare fin da oggi uno Stato frontista rispetto alla Francia che, peraltro, ha allargato le sue acque territoriali fino a Ventimiglia e Mentone, con un accordo firmato in gran segreto nel 2015 tra Roma e Parigi, accordo che, stranamente, concede alla Francia le zone, pescosissime, di Cimitero, Fuori Sanremo, Ossobuchi, Vapore e Banco.

“I gamberoni rossi (sanremesi, N.d.R.) sono un sogno”, cantava Paolo Conte in Genova per noi. L’accordo non è ancora operativo, ma la Francia ha già interessato la Ue per l’esecuzione. Quindi, il masochismo italico non riguarda solo le coste libiche.

La sequenza di definizioni delle Zee mediterranee è stata, comunque, a cascata: Israele ha definito la propria Zona Economica Esclusiva tagliando fuori il mare davanti a Gaza, anche per ovvi motivi di sicurezza, e integrando quindi le sue aree con quelle cipriote e greche.
Questo ha subito smosso gli umori turchi, e si sa che Ankara è ormai il principale referente di Hamas, organizzazione dei Fratelli Musulmani, nella Striscia di Gaza e in Sinai.

Dove Hamas, peraltro, opera come spina nel fianco del Paese più duramente nemico dell’Ikhwan musulmano e fraterno, l’Egitto di Al Sisi.
Unità della Marina Militare turca poi, nel febbraio 2018, hanno bloccato, piuttosto duramente, una nave da ricerca della nostra Saipem, che doveva esplorare e probabilmente perforare un’area sottomarina al largo di Cipro, dove Ankara aveva dichiarato unilateralmente il blocco universale delle attività di esplorazione dei fondali.
Nell’ottobre 2019, inoltre, la Turchia ha iniziato le proprie ricerche di petrolio e gas naturale nel Blocco 7, che è di competenza unica, stabilita dal governo di Nicosia, di Total e di Eni.

Alla Total, società francese rifondata dopo la Seconda Guerra Mondiale dal vecchio agente dei Servizi di Parigi Guillermet, sono andati il 20% dei blocchi ciprioti 2 e 9, e sarebbe la stessa quantità precedentemente detenuta dalla società di Nicosia Kogas, poi il 30% del blocco 3, con Eni scesa al 50%, e c’è anche il 40% del blocco 8, prima totalmente in mano all’Eni.

Da una parte, l’Eni ha scoperto, nel giugno 2018, il grande giacimento sottomarino egiziano, il Noor, che è già il più rilevante del Mediterraneo e che potrebbe trasformare radicalmente l’economia e la proiezione di potenza del Cairo.

Dall’altra parte, quindi, la Turchia si tiene stretta, estendendola fino alle coste della Cirenaica, tutta l’area di idrocarburi sottomarini del mare intorno a Cipro, per mantenere il suo status di hub globale dei petroli tra Est e Ovest e controbilanciare l’espansione petrolifera di Egitto, Israele, della parte greca di Cipro, del Libano.
La questione della Zee algerina, alla quale abbiamo già accennato, è particolarmente interessante, se i nostri governi avessero una qualche idea dell’interesse nazionale.
Algeri, lo ricordiamo, ha costituito la sua nuova Zee il 20 marzo 2018.

Il confine vale, come è noto, anche per il fondale: l’area algerina si sovrappone in parte alla piattaforma continentale ispanico-italica e alla Zona di Protezione Ecologica italiana, a ovest della Sardegna, con la Zee di Algeri che arriva verso Nord-Ovest, nel Golfo di Oristano, fino a toccare le acque di Portovesme, Sant’Antioco, Carloforte, area di produzione del miglior tonno italiano, poi Oristano, Bosa e Alghero.

La cuspide dell’area algerina (coordinate 40°21’31’’ N e 06°50’35’’ E) dista circa 60 miglia dalla costa della Sardegna ma ben 196 miglia da quella algerina.
La Zee di Algeri sostituisce la vecchia Zpp (Zona di Protezione della Pesca) definita nel 1994, che aveva una distanza massima di 40 miglia dalle coste algerine di Ras Tenes e sembra, a vederla oggi, una patente imitazione della nuova Zee turco-libica. A nostre spese, naturalmente.

Non dimentichiamo nemmeno le proposte di espansione marittima di alcuni Stati ad Est, il Mar di Levante è molto ricco di petroli, ma anche lo Ionio, dove ci sarebbero mire greche, sembra essere ricco di idrocarburi.

Poi c’è il mare a sud di Creta, ormai requisito dalla Turchia, ma anche l’Adriatico, attualmente sfruttato, per il gas naturale, dalla Croazia e dal Montenegro.
C’è alla Camera dei Deputati la proposta di una Zee italiana, presentata il 20 dicembre 2019, mentre giace al Senato la proposta per la costituzione di un Ministero del Mare.

Certamente, la Turchia ha recentemente elargito alla Libia di Al-Serraj un prestito, molto “grazioso”, nel senso del diritto italiano, di ben 2,7 miliardi di Usd, ma Ankara vuole diventare l’unico e solo, lo abbiamo già notato, hub energetico di tutto il Mediterraneo, sia per le linee provenienti dalla Russia e dal Caucaso che per quelle originatesi nel Mare Nostrum.

Blue Stream, South Caucasus Pipeline, Southern Gas Corridor, il Tanap, il Turkish Stream, sono tutti tasselli di una futura egemonia turca nel mondo energetico, egemonia che è il primo dei pensieri di Recep Tayyp Erdogan.

Da tutti questi comparti l’Italia non può rimanere esclusa e, comunque, farà bene, qualunque sia il governo in carica, a non lasciare sola l’Eni e a immaginare finalmente una geopolitica italiana nel Mediterraneo, che oggi, evidentemente, manca.


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