Otto marzo. Donne in festa, occasione per riflettere.
L’emergenza determinata dal coronavirus è, ancora una volta, una sfida per la donna. Ne rilancia la funzione e il ruolo, nella famiglia e nel sociale.
Interprete del sacrificio senza condizioni e della più profonda dimensione affettiva, la donna, nella difficoltà del momento, è ora la concreta risorsa per far fronte all’imprevedibile scenario. Ma è anche il messaggio di speranza, di fiducia e di amore. Per andare avanti nella quotidianità e per riempire il vuoto di abbracci, baci e strette di mano proibiti dalle “regole di comportamento” che dettano in “centimetri” la nuova modalità di stare insieme.
Quest’anno passa inevitabilmente “in sordina” la “Festa della donna”, con le giuste precauzioni per evitare il dilagare di un nuovo, sconosciuto nemico.
Ma l’8 marzo è, comunque, un’occasione per ricordare la donna, la forza tutta “al femminile”. E non solo nell’emergenza.
Istituita negli Stati Uniti d’America nel 1909, è “Festa della donna” in alcuni paesi europei dal 1911 e, in Italia, dal 1922.
È la “Giornata delle Nazioni Unite per i diritti delle Donne e per la pace internazionale” dichiarata dall’Onu, nel 1977, per ricordare le conquiste sociali, economiche e politiche ma anche le discriminazioni e le violenze, fisiche e psichiche, di cui le donne sono state e sono ancora vittime in quasi tutto il mondo.
Fonti Onu invitano, attualmente, gli Stati ad operare affinché si possa raggiungere, nel 2030, un’effettiva parità di genere. Anche culturale. Ma i dati non fanno ben sperare, nel mondo e in Italia.
Donne sempre più vittime di femminicidi. Per il rapporto Eures, sono 142 le donne uccise, nel nostro Paese, nel 2018, di cui 119 in famiglia. E, nei primi mesi del 2020, la cronaca parla di una donna ogni quattro giorni. Quasi sempre per mano dei propri “compagni di vita”.
Ma di quale vita parliamo?
Donne vittime di pregiudizi e di stereotipi. Ma anche donne vittime, esse stesse, di antichi retaggi capaci di evocare reazioni, sentimenti, vulnerabilità. Emozioni e passioni che si trasformano in grovigli esistenziali che nascono in segrete profondità e che si annidano nelle sofferenze. Istinti che portano, a volte, verso direzioni sbagliate e autodistruttive.
Donne, nel mondo, sempre più abusate, mortificate o date in sposa bambine a uomini che non avrebbero scelto liberamente, spesso anziani. Qualcuna ha provato a sottrarsi e ha pagato con la vita. L’allarme è stato lanciato dall’Onu secondo cui più di 700 milioni di donne, in tutto il mondo, vengono unite in matrimonio ancora bambine e, comunque, prima dei diciotto anni (circa 250 milioni di ragazze di età inferiore ai quindici anni). Il 42% vive in Asia meridionale, con una massima concentrazione del 33% in India, il 18% in Africa e solo il 2% nei Paesi industrializzati.
Per iniziativa di una parlamentare italiana, è stato introdotto nel nostro Paese, con il “codice rosso” (legge n.69 del 2019 contro la violenza domestica e di genere), il reato di “matrimonio forzato” nei confronti di chiunque “con violenza o minaccia” o “approfittando delle condizioni di vulnerabilità o di inferiorità psichica o di necessità di una persona…la induce a contrarre matrimonio o unione civile“.
Considerata la dimensione ultranazionale del fenomeno, il reato è punito anche quando il fatto è commesso all’estero da cittadino italiano o da straniero residente in Italia, ovvero in danno di cittadino italiano o straniero residente in Italia (con aumento della pena se i fatti sono commessi ai danni di un minore di 18 anni. Se minore di anni 14, con aumento da 2 a 7 anni).
Sì, perché anche nel nostro Paese questo accade, con l’appoggio di organizzazioni internazionali, promettendo in sposa, in cambio di denaro, ragazze ad uomini di Paesi esteri in cui è consentita questa forma di violenza, celebrando, poi, le nozze in Stati in cui ciò è possibile (nel nostro ordinamento, come noto, i matrimoni con minori sono vietati, fatti salvi comprovati “gravi motivi”).
E questa è “vita” per la donna?
“Harvey Weinstein è colpevole di violenza sessuale e stupro”. Così ha sentenziato la Corte di New York. L’11 marzo, nell’udienza finale, sarà fissata la pena (prevista da 5 a 25 anni). Weinstein, il più potente produttore degli Stati Uniti, l’uomo “forte”, definito il “re Mida” di Hollywood, “attore protagonista” del movimento MeeToo – nato nel 2017 per denunciare le molestie sessuali da lui perpetrate – è accusato di aver abusato di 80 donne. È stato assolto dall’accusa più grave, quella di essere un “predatore seriale”, che lo avrebbe condannato all’ergastolo.
È donna il suo difensore. Si chiama Donna Rotunno. L’avvocato del “diavolo”. Veste griffe italiane, look tutto al femminile. Una collanina al collo con la scritta “not guilty” (non colpevole). Un’immagine vincente in contrasto con quella del suo assistito che, durante il processo, è apparso vecchio e claudicante. “Donna” ha ottenuto una giuria di sette uomini e cinque donne, non molto giovani. Gli interrogatori vissuti come una lotta “tra donne”, tra insistenze e insinuazioni.
Donna contro donne?
È caduta anche la “foglia di fico” del testosterone. Nell’uomo, l’ormone che suggellerebbe la dominanza dell’uomo sulla donna. Un “destino” per le donne, la sottomissione, per motivi biologici?
La sociologa della medicina M. Jordan Yung e l’antropologa culturale K. Karkazis hanno svelato, invece, in uno studio scientifico, che l’ormone è, sì, più abbondante nei maschi ma, ricordando che è prodotto anche dalle ovaie delle donne, è certamente più importante la relazione legata ai comportamenti. Un detonatore di violenza e di aggressività o uno stereotipo? Una gabbia mentale che immagina gli uomini forti, aggressivi e “coraggiosi” e le donne arrendevoli e sottomesse?
Il 63,8% delle donne, per i dati Istat 2019, in Italia, possiede un diploma rispetto al 59,7% degli uomini, mentre la differenza di genere, nella media Ue, è meno di un punto percentuale. I livelli di istruzione femminili sono aumentati più velocemente nel tempo: in quattro anni si registrano +2,8 punti per le donne, almeno diplomate (contro +2,1 punti per gli uomini) e +3,2 punti per le laureate (contro +1,6 punti).
Ma “istruzione” significa “occupazione”, per le donne? I tassi di occupazione, per le statistiche, restano ampiamente inferiori: 75,0% contro l’83,7% dei laureati maschi. Un dato sul quale riflettere.
Secondo la rilevazione Istat del 2017, le donne che si dichiarano casalinghe, in Italia, sono 7 milioni e 338 mila: in percentuale, il 23% delle donne italiane lavora in casa. Una casalinga lavora quasi 50 ore a settimana, in media 2.539 ore l’anno. Complessivamente, le casalinghe effettuano 20 miliardi e 349 milioni di ore di lavoro l’anno, destinate alla produzione familiare. E anche le donne “occupate” non si sottraggono: 1.507 ore per il lavoro in casa.
Sono 71 miliardi le ore di lavoro non retribuite in forma di attività domestiche, cura di bambini e anziani, ma anche impegno nel volontariato. Di queste, il 70% (50 miliardi e 694 milioni) provengono da donne e quasi il 30% da casalinghe.
Poco più della metà delle casalinghe non ha mai svolto attività lavorativa retribuita nel corso della vita, per motivi prevalentemente familiari (73%). E 600 mila pensano di non poter trovare un lavoro.
E al tempo del coronavirus? Una vera “forza-lavoro”, le madri “casalinghe” sono la risorsa concreta che ora appare indispensabile per superare una difficile prova che fa interrogare sul senso della vita e sulle sue priorità. Mentre le nonne, già impiegate, durante l’anno, in turni settimanali, e, d’estate, in vacanze con i nipoti, sono ora le ‘colonne’ di un sistema familiare che rischia di vacillare.
Intanto, l’8 marzo ci ricorda anche le tante donne che nella Storia si sono impegnate per la conquista di diritti civili, sociali, professionali. E quelle che, oggi, sono ai vertici di istituzioni ed hanno voce in ogni campo, con forza, capacità e determinazione.
E ci chiediamo, allora, quale sia l’orizzonte di “parità” tra uomo e donna.
Un interessante punto di vista che riguarda il trattamento differenziato tra coniugi, può far riflettere. Viene da Roberta Lugarà, giovane giurista assistente presso la Corte Europea dei diritti dell’uomo.
In occasione del cognome del marito apparso sulle tessere delle elettrici per il voto del 2019, dice: “L’imposizione del modello patriarcale di famiglia lede l’eguaglianza e la pari dignità di tutti coloro che in tale modello non si rispecchiano, uomini e donne. La protezione accordata alle donne come categoria ritenuta ex legge vulnerabile da una legislazione di stampo patriarcale mostra, nei confronti della moglie, l’altra faccia della subordinazione e, nei confronti del marito, quella del privilegio. Specularmente, al potere riconosciuto al marito (simboleggiato dalla scelta del suo cognome come nome del nucleo familiare) fatalmente corrisponde la responsabilità connessa al suo esercizio, testimoniata, ad esempio, dalle norme che disciplinavano i rapporti patrimoniali tra i coniugi in maniera favorevole alla moglie. Una legislazione non ancora del tutto depurata da elementi di stampo patriarcale, pertanto, di fatto ancora impone dinamiche di subordinazione/privilegio, potere/responsabilità all’interno del nucleo familiare, assegnando all’uno o all’altro coniuge dei ruoli predefiniti sulla sola base dell’appartenenza di genere. Queste rigidità – ancora la giurista – ostacolano l’autonomo sviluppo dell’identità della coppia e della sua visibilità nella sfera delle relazioni sociali in cui essa si trova ad esistere che – come ha affermato la Corte Costituzionale in materia di unioni civili – solo una disciplina di natura paritaria e flessibile può garantire”.
Un richiamo alla ricerca di nuovi parametri per garantire il pieno rispetto della persona, non in quanto donna o uomo.
E, dunque, cosa augurarci, qual è il senso di una vera “emancipazione” femminile?
Papa Francesco, lo scorso anno, in occasione dell’8 marzo, ha detto: ’La donna è colei che fa bello il mondo, che lo custodisce e lo mantiene in vita. Vi porta la grazia che fa nuove le cose, l’abbraccio che include, il coraggio di donarsi. La pace è donna. Nasce e rinasce dalla tenerezza delle madri’.
Convinto interprete delle istanze dell’universo femminile, sostenitore della necessità di maggiore presenza della donna nei ruoli incisivi della Chiesa e della società, Papa Bergoglio pone, al contempo, un interrogativo che ogni donna, oggi, credo potrebbe porsi.
“Se da un lato – ha detto ancora il Pontefice ricordando la ‘Mulieris dignitatem’ di Giovanni Paolo II – si mette in disparte la donna con le sue potenzialità, dall’altro c’è il pericolo in senso opposto: quello di promuovere una specie di emancipazione che, per occupare gli spazi sottratti dal maschile, abbandona il femminile con i tratti preziosi che lo caratterizzano”.
La vera battaglia, forse, è proprio quella di affermare, con maggiore forza, il diritto di preservare la femminilità e l’unicità dell’identità rimuovendo ogni ostacolo che impedisca alle donne di sviluppare la propria personalità. Nell’impegno quotidiano, nella competenza professionale ma anche nella capacità generativa, creativa, dell’accoglienza e della sensibilità.
L’augurio ad ogni donna è che quella mimosa colorata e profumata che ha la forza di nascere, anche spontaneamente, in terreni difficili, possa essere un’occasione per ricordare a se stessa e agli uomini responsabili e consapevoli, la storia dell’universo femminile. La resilienza, la capacità di affrontare le sfide quotidiane ma anche l’autonomia, il coraggio e la libertà per aprirsi a nuovi orizzonti. I “tratti preziosi delle donne”.
È troppo chiederlo alla società? È troppo chiederlo a noi stesse? Ricordiamolo non solo nell’emergenza.
Auguri a tutte le donne!