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Uno scudo per gli asset strategici. Perché il golden power non basta

Il campanello d’allarme è suonato, il giorno dopo. Ora bisogna fare in modo che risuoni in tempo, la prossima volta. Il crollo record di Piazza Affari lunedì dopo le dichiarazioni della presidente della Bce Christine Lagarde ha comportato una caduta verticale del valore di assetti strategici quotati. Energia, difesa, aerospazio, ma anche tech, moda, design, banche e assicurazioni. È stato un risveglio traumatico per decine di big quotate, con una drastica erosione della capitalizzazione. Generali sotto i 20 miliardi di euro. Unicredit 15,9, Eni 24,5, Enel 53. Sono cifre da capogiro, se confrontate a quelle di un mese fa. Il risultato è una vera e propria messa in saldo di tasselli cruciali del sistema industriale ed economico italiano. Un’occasione d’oro per gli speculatori, un rischio enorme per la sicurezza economica del Paese.

L’ALLARME DEL COPASIR

La reazione della politica non si è fatta attendere. Puntuale l’intervento del Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica). Il presidente e deputato leghista Raffaele Volpi ha invitato la Consob a “sollecitare e sostenere qualsiasi azione di maggior vigilanza verso azioni, speculative o aggressive tendenti a modificare, in questo particolare momento, assetti di controllo e di governance di società quali quelle dei settori bancario-assicurativi, telecomunicazioni, energia e difesa che debbono rimanere nell’alveo dell’interesse nazionale”. Un allarme condiviso da tutto il comitato. Antonio Zennaro, membro in quota M5S, ha acceso i riflettori, oltre che sulle grandi società, anche su “quelle non quotate e meno protette del made in Italy”.

LA PROPOSTA DI DIENI (M5S)

“Come Copasir abbiamo iniziato in tempi non sospetti ad approfondire la sicurezza degli asset strategici, il nostro compito ovviamente si limita a fornire un quadro completo nelle mani di chi deve prendere le decisioni – spiega a Formiche.net un’altra componente del comitato del Movimento Cinque Stelle, la deputata Federica Dieni – chiederemo a Consob di indagare sulle parole di Lagarde”. Il comitato di Palazzo San Macuto ha avviato quest’anno un ciclo di audizioni sull’esposizione del sistema Paese. “È bene ribadire che non è nostro interesse né nostro compito porre sotto scrutinio i manager stranieri, ma solo approfondire le circostanze più dubbie, in cui ci siano mire di Paesi esteri che possano ledere l’interesse nazionale italiano”, precisa Dieni. Due, secondo la deputata, gli interventi che si rendono ora necessari. Da una parte “la costituzione di una cabina di regia della politica per seguire più da vicino gli sviluppi di questa vicenda, mentre il governo è impegnato dall’emergenza sanitaria”. Dall’altra “un ulteriore rafforzamento della golden power per aumentare la difesa dei settori strategici da scalate ostili”.

BASTA IL GOLDEN POWER?

Una sostanziale revisione della normativa sul golden power c’è già stata, in autunno, con l’approvazione del “decreto cyber che, tra l’altro, ha esteso il perimetro di sicurezza nazionale cibernetica alla rete 5G. Si discute, in queste ore, di un ulteriore rafforzamento dello “scudo”. Un’ipotesi, ha scritto sul Sole 24 Ore Marco Ludovico, che avrebbe il favore, oltre del Copasir, di buona parte della maggioranza. Potrebbe trovare spazio nel decreto economico per l’emergenza Covid-19 al vaglio di Palazzo Chigi. C’è un ma. Il golden power è uno strumento utile, e necessario, ma che interviene dopo, non prima. Non a caso è spesso definito “una pistola sul tavolo”. Utile per la deterrenza, viene usato caso per caso, e, così come è disegnato, presenta qualche falla. Non solo perché, dall’ultima revisione, non sono ancora stati adottati tutti i decreti attuativi, è il caso del settore delle infrastrutture finanziarie. L’erede della vecchia “golden share” si basa su una struttura per settori, che inevitabilmente lascia scoperta una parte importante del tessuto economico.

L’INTELLIGENCE CONTA. IL MODELLO USA…

Non funziona ovunque così. Un caso di scuola all’estero è quello del Cfius (Committee on foreign investments of the United States), il sistema americano di screening degli investimenti diretti esteri (Fdi) istituito nel lontano 1975. A differenza del golden power, il Cfius permette uno screening a 360°. Nessun settore è escluso, tantomeno quello tecnologico, come dimostrano i recenti interventi sulle app TikTok e Grindr. A dispetto delle apparenze, un così incisivo e ampio sistema di controllo non scoraggia gli investimenti, anzi. Numeri alla mano, gli Stati Uniti sono al primo posto mondiale per investimenti diretti esteri in entrata (più di 3 triliardi di dollari nel 2018, secondo il governo americano).

…E QUELLO FRANCESE

Un altro caso, più recente, è quello francese. Anche la Francia, complice una consolidata cultura istituzionale dell’intelligence economica, ha una visione onnicomprensiva, e non settoriale, dell’interesse nazionale. Su questo fronte esiste un pieno raccordo fra governo, imprese e agenzie di intelligence tramite il Sisse (Servizio di informazione strategica e sicurezza economica), organo del ministero dell’Economia che si coordina con tutti i dipartimenti dei Servizi (Dgse, Dgsi, Drsd, Drm). Il file-rouge che unisce il sistema americano e quello francese è proprio questo: una cooperazione strutturata con il mondo dell’intelligence, per individuare per tempo le minacce e aumentare la resilienza degli asset strategici. In Italia si può riprodurre? Con le opportune cautele, l’istituzione di un luogo di raccordo fra intelligence, imprese e governo sarebbe auspicabile.

CHIUDERE LA BORSA?

Come evitare, in definitiva, che si ripeta un’esposizione come quella di lunedì mattina? La Consob è già intervenuta con un “short-term ban”, la sospensione di 85 titoli quotati sul mercato telematico italiano. Una soluzione più volte richiamata in questi giorni è quella di chiudere la Borsa di Milano, ma avrebbe un costo enorme. Non solo perché, all’apertura, si presenterebbe un cumulo delle vendite, ma anche per il segnale di emergenza lanciato all’esterno, che non farebbe che terrorizzare ulteriormente gli investitori che stanno vendendo, specialmente i piccoli assettisti. Per dirla con un’immagine, spezzare il termometro non fa passare la febbre. Il presidente della Consob Paolo Savona, assieme agli omologhi spagnolo e francese, ha auspicato un coordinamento delle authority europee sotto l’ombrello dell’Esma (European security and markets authority), che, secondo i Regolamenti Ue, può sospendere le vendite allo scoperto contemporaneamente su tutte le piazze europee. Un obiettivo auspicabile, ma non facile da raggiungere, viste le divergenze fra Stati Ue.

UN FONDO PER NON CALARE…A FONDO

Un’altra soluzione di cui si discute da anni è quella di istituire l’equivalente di un fondo sovrano italiano, con una dotazione importante, per poter intervenire in emergenza e ricapitalizzare le aziende strategiche italiane qualora rimanessero scoperte sul mercato come è successo questo lunedì. Si fa da tempo, come veicolo possibile, il nome di Cassa Depositi e Prestiti (Cdp). Che rimarrebbe un veicolo, perché una struttura del genere, fanno notare gli addetti del settore, avrebbe bisogno di un coordinamento decisionale di altissimo livello, dalla presidenza del Consiglio in su. Potrebbe assumere, come succede in altri Paesi, la forma di una partecipazione mista, con l’entrata di privati, e garantirebbe uno scudo protettivo a sostegno degli asset strategici quotati.



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