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L’autoritario Orban e i sepolcri imbiancati della politica italiana. L’affondo di Harth

Tutti costernati dinanzi all’attribuzione di pieni poteri a Viktor Orban per la gestione della crisi sanitaria che colpisce ormai tutto il mondo, e quello occidentale in particolare. Tutti rintronati dentro casa, ieri abbiamo assorbito anche l’ondata di notizie e dichiarazioni sull’operato “scandaloso” del “dittatore”, per ricordare il benvenuto che gli dette scherzando Jean-Claude Juncker, allora presidente della Commissione europea – un’altro marchiatosi del peccato di nepotismo, con tanto di suicidio di una collaboratrice coinvolta in un caso in pieno stile House of Cards, ma per qualche ragione questa rimane una storia conosciuta soltanto agli addetti ai lavori.

Pieni poteri! Sospensione del Parlamento! Bavaglio all’informazione! L’Unione europea intervenga subito! Vanno cacciati! E… non scordiamoci soprattutto dell’invocazione dei pieni poteri di Matteo Salvini l’estate scorsa!

Una crisi profonda rivela sempre tante verità che di solito rimangono nascoste ai più. E questa crisi sta rivelando in modo eclatante quel che Marco Pannella ha sempre denunciato, ricevendo soltanto derisione: la democrazia “reale” e i “soci” di maggioranza e opposizione che alternano le danze. E sono convinta che il suo “j’accuse” oggi non sarebbe rivolto per primo a Orban, il quale si potrebbe vedere da un lato come il più furbo della classe politica europea, ma anche come il meno ipocrita.

Sono in tanti i commentatori che nelle ultime settimane hanno sottolineato come l’operato a colpi di Dpcm, con la sospensione di fatto del Parlamento – rimpiazzata ora con le “comunicazioni” del presidente del Consiglio dei ministri ogni due settimane e le riunioni a porte chiuse con i leader dei partiti d’opposizione – e le conferenze stampa a notte fonda e il tentativo malcelato di tenerne fuori i giornalisti, implorati ad ogni passo di fornire una “informazione corretta” (traducasi: non fate osservazioni critiche del nostro operato, che serve l’unità) hanno eroso pericolosamente lo stato di diritto e l’assetto istituzionale in questo Paese.

In realtà, non sono che il compimento di un processo in atto da molto tempo, reso visibile oggi in modo evidente attraverso l’immagine dei banchi vuoti in Parlamento. Ma lo svuotamento dei poteri del Parlamento, la restrizione dei dibattiti parlamentari (e presto la riduzione del numero dei rappresentanti del popolo), le votazioni a suon di voti di fiducia nell’esecutivo non sono fenomeni nuovi.

Abbiamo e continuiamo ad assistere persino all’evocazione ripetuta di un superamento della democrazia parlamentare da parte di un movimento di maggioranza gestito da una ditta privata con evidenti ma non-dichiarati interessi di profitto. Non sono il rovesciamento dell’ordine costituzionale e istituzionale? Sono dichiarazioni e atti così diversi dell’evocazione della “democrazia illiberale” di Orban?

L’appello continuo della maggioranza di rinviare le “critiche” al dopo-crisi – nonostante le lezioni da trarre possano essere ben utili alla gestione già dei prossimi giorni, dati i non pochi e gravi errori compiuti nella non-gestione iniziale della pandemia – è così diverso dalle “informazioni autorizzate” di Orban? Ci siamo già scordati degli attacchi viscidi e violenti al pluralismo dei media da parte del Movimento 5 Stelle (battaglia mica abbandonata peraltro)?

Ma evidentemente non è il Movimento 5 Stelle – o meglio, chiamiamolo per nome: la Casaleggio & Associati – ad aver aperto questa partita. Da decenni, Pannella e il Partito Radicale denunciano la “peste italiana”: il rovesciamento dell’ordine istituzionale e l’assenza di stato di diritto, di informazione, di dibattito pubblico. Un pubblico – trattato appunto da spettatori piuttosto che popolo sovrano – che ha assistito inerme al tradimento plurimo della sua volontà, espressa tramite scheda elettorale e referendaria.

Un pubblico indottrinato attraverso quel che si osa chiamare “informazione pubblica”, tramite dibattiti a cui possono partecipare i rappresentanti di maggioranza e opposizione graditi in quel momento al regime. Un pubblico a cui sottrarre il voto il più possibile attraverso la modifica della legge elettorale ad ogni turno. Ecco a voi la famosa “democrazia liberale” italiana, il vero “modello italiano” che sentiamo evocare tanto questi giorni.

Un modello di stato di diritto il cui pilastro della giustizia è stato condannato a più non posso della Corte europea dei diritti dell’uomo, al punto che già alla fine degli anni ’80 il Consiglio d’Europa si vide costretto a mandare un avvertimento: se non ci fossero state riforme concrete, sarebbe stato messo pericolo lo stato di diritto in Italia.

Furbi ben prima di Orban, da allora la classe politica italiana ha trovato e applicato l’escamotage perfetto: ad ogni condanna, di cui rigorosamente cerchiamo di non informare il pubblico di spettatori italiani, mandiamo delle promesse di riforma, lasciamo passare il tempo che l’organo intergovernativo del Comitato dei Ministri ne prenda benevolmente atto, informiamo il pubblico di spettatori italiani delle lodi ricevute, e poi continuiamo come se niente fosse senza implementare nessuna vera riforma fino alla prossima condanna. Ecco a voi la “lealtà” italiana nei confronti delle istituzioni europee e il rispetto dello stato di diritto.

Ecco a voi anche la sintesi della volontà di eseguire il suo mandato di vigilanza sullo stato di diritto da parte di quegli stessi organi europei: tra le tante istituzioni tecniche, giuridiche e parlamentari (sia nel Consiglio d’Europa e nell’Unione europea) alla fine conta sempre una sola: l’organo intergovernativo, rispettivamente il Comitato dei Ministri o il Consiglio europeo nelle sue varie formazioni. E vediamo un po’ come si è comportato quest’ultimo nei confronti dell’Ungheria, la cui deriva anti-democratica e illiberale non è certamente iniziata ora.

Il 12 settembre 2018 (!), il Parlamento europeo approva con 448 voti a favore e 197 contrari una risoluzione chiedendo al Consiglio europeo di iniziare la procedura sotto l’Articolo 7(1) del Trattato dell’Ue, per prevenire una “minaccia sistemica” contro i valori fondamentali dell’Unione, sanciti dell’Articolo 2 dei Trattati. Sotto l’Articolo 7, il Consiglio europeo può determinare, all’unanimità (!) e con il consenso del Parlamento, l’esistenza in Ungheria di una violazione grave e persistente dello stato di diritto, della democrazia e dei diritti fondamentali. Tale procedura può alla fine portare a delle sanzioni, tra cui la sospensione dei diritti di voto in seno al Consiglio.

Le principali preoccupazioni del Parlamento nel settembre 2018 riguardavano: il funzionamento del sistema costituzionale ed elettorale, l’indipendenza della magistratura, corruzione e conflitti di interesse, privacy e protezione dei dati, libertà di espressione, libertà accademica, libertà di religione, libertà di associazione, il diritto alla parità di trattamento, i diritti delle persone appartenenti a minoranze, inclusi rom ed ebrei, i diritti fondamentali dei migranti, richiedenti asilo e rifugiati e diritti economici e sociali. Briciole in termini di stato di diritto del sistema Paese insomma.

Ma ecco che entrano in campo tutti gli altri Stati membri virtuosi in difesa dei valori fondanti dell’Unione e i diritti dei cittadini tutti. Dal settembre 2018 ad oggi, i ministri dell’Ue hanno tenuto ben due audizioni con il governo ungherese, il primo a settembre 2019, e il secondo a dicembre dello stesso anno. Queste riunioni, i cui contenuti sono confidenziali, non sono né regolari né strutturate. Nonostante la procedura sia stata avviata dal Parlamento europeo, i deputati europei non sono stati autorizzati a partecipare nelle audizioni, neanche per presentare le loro proposte e richieste. Non esistono meccanismi che impongono al Consiglio tempi concreti in cui formulare raccomandazioni o richieste con scadenza certa per assicurare che i principi europei vengono rispettati.

Un procedimento simile è pendente per quanto riguarda la Polonia, dove la Commissione europea ha chiesto provvedimenti nel dicembre 2017 per le minacce percepite all’indipendenza della magistratura, con una risoluzione a sostegno di tale richiesta da parte del Parlamento europeo a marzo 2018. Da allora, il Consiglio ha tenuto tre audizioni con il governo polacco tra giugno e dicembre 2018. E sempre da allora, la Polonia ha tranquillamente implementato le sue misure di controllo sulla magistratura.

Per farla breve, sommiamo i vari comportamenti elencati fin qui, mettiamoli accanto alle pompose grida di denuncia e costernazione della classe politica italiana ed europea ieri e chiediamo loro: duole di più che Orban si sia dimostrato più furbo di voi nell’abusare dell’assenza di regole e strumenti per assicurare la tenuta dei valori dei Trattati in un sistema di protezione reciproca tra i governi che avete creato voi ben prima della sua entrata, o che abbia commesso il grande peccato di dire apertamente – e far votare – la realtà anche italiana che voi cercate tanto di nascondere ai vostri sudditi? L’assenza di stato di diritto, l’assenza di democrazia, l’assenza di informazione pubblica, l’assenza di dibattito pubblico e parlamentare, il rovesciamento della volontà popolare.

Immagino che sarebbe illusorio indagare e dibattere seriamente di questa peste italiana che si è fatta anche europea, quel modello che ha fatto scuola e di cui Orban si è dimostrato il primo della classe. Non gioverebbe all’unità nazionale di cui abbiamo bisogno in questa ennesima crisi. Più facile puntare il ditto soltanto contro Salvini (o chi per lui domani). E non ho dubbi che il popolo di spettatori italiani riceveranno su questo, in prima serata e a reti unificate, la propaganda per cui pagano, almeno fino alla prossima “eclatante” notizia di distrazione di massa.


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