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Big data e pandemia? Ecco cosa fa lo Human Technopole. Parla Simoni

Sette scienziati di fama internazionale e un super computer per la ricerca e l’analisi dei dati: la nuova frontiera delle life and data sciences nell’ex area Expo 2015, oggi Mind (Milano Innovation District). La Fondazione Human Technopole, il nuovo istituto italiano per le scienze della vita, può rappresentare una concreta opportunità per aumentare la competitività del Sistema Paese verso le sfide globali legate alla salute, attraverso una collaborazione virtuosa e integrata fra realtà scientifiche, industriali e accademiche e posizionare l’Italia in maniera competitiva su questi temi a livello internazionale, anche in tempi di pandemia. Formiche.net ne ha parlato con il presidente, Marco Simoni, già consigliere del presidente del Consiglio Paolo Gentiloni.

In questo contesto, il digitale sta vivendo una nuova rinascita. I dati sono sempre più protagonisti del nostro modo di interagire con la società. Presidente, lei che ne pensa?

Lo sapevano già. Chiunque lavora nel nostro settore, quello della ricerca biomedica, sa che i dati sono l’essenza della ricerca. Faccio una premessa, allo Human Technopole stiamo costruendo delle grandi infrastrutture di ricerca che saranno a disposizione di tutti gli scienziati italiani, un centro di ricerca che abbia delle infrastrutture di grande scala, a disposizione di tutti, da varie parti d’Italia, che potranno accedervi con vari meccanismi competitivi.

Ci spieghi meglio.

Stiamo sviluppando diverse infrastrutture scientifiche di supporto ai centri di di ricerca, dalla neuro-genomica alla biologia computazionale. In totale saranno 5, tra cui le principali sono: facility di microscopia crio-elettronica per analizzare la struttura delle molecole in altissima risoluzione. Una tecnica molto importante perché è uno dei primi passi per lo sviluppo di nuovi farmaci. UnA facility di genomica che studierà il sequenziamento DNA/RNA su larga scala in grado di fornire un sequenziamento di prossima generazione e un Data centre con una notevole capacità di archiviazione ed elaborazione dati per gestire, archiviare e analizzare enormi quantità di dati eterogenei generati e utilizzati dai ricercatori di HT. Per fare un esempio semplicistico, il DNA di una persona occupa la memoria di quattro smartphone di ultima generazione, quindi pensate quanta memoria è necessaria per processare dieci, venti, trentamila DNA diversi e incrociare questi dati con le abitudini e gli stili di vita, la storia clinica e il vissuto quotidiano dei pazienti.

Ci sono Paesi come l’Estonia dove la medicina predittiva è già realtà. Allo Human Technopole si potrà sviluppare?

Esatto. Questo è il tema, la ricerca biomedica ci consente di scoprire come funzionano malattie che ancora non riusciamo a debellare o che non conosciamo. Medicina predittiva e medicina personalizzata. Il punto è che ogni singola malattia è una malattia individuale, per poter capire come affrontarla e quale tipo di terapia usare è necessario avere delle diagnosi e degli studi basati sulla genetica. Oggi è evidente quanto sia importante usare questi dati per l’epidemiologia, anche questa è cosa nota. Il lavoro di big data analytics è da tempo chiaro che è il nodo centrale senza il quale qualsiasi innovazione in campo biomedico non può esistere.

Negli ultimi giorni c’è stato anche chi ha proposto il contact tracing come soluzione per tracciare i contagi. Qual è il confine fra utilità e invasività della tecnologia?

Quello a cui assistiamo in questi giorni è la capacità di alcuni Paesi, in particolare la Corea del Sud che usa questi sistemi di geotracciamento attraverso i cellulari per controllare e contenere i contagi. Queste tecniche possono essere usate in tutti i Paesi e saranno sempre più presenti. È evidente che questa esperienza collettiva del virus che stiamo vivendo in questi giorni ci pone in maniera ancora più chiara davanti sia i nuovi rischi cui possiamo essere sottoposti in un mondo molto più connesso, ma anche le grandi opportunità che derivano dalla tecnologia. La sfida vera è quella di combinare l’uso dei dati a fini pubblici con le libertà personali, la privacy e la sicurezza grazie ai sistemi di intelligenza artificiale e blockchain. Penso sia molto importante riflettere su modi nuovi e sicuri per far sì che i nostri dati possano giovare e arricchire la collettività, dobbiamo fare in modo che questi dati, non soltanto i dati sanitari, ma anche di movimento – utili ad esempio per la gestione del traffico – possano essere usati per migliorare le nostre vite, per il bene pubblico. È necessario sviluppare delle nuove partnership tra esperti di dati e esperti di diritto per trovare una corretta gestione dei dati.

Lo Human Technopole si presenta come hub internazionale di eccellenza per la ricerca nel campo dell’industria e scienza della vita. L’Italia ha, secondo lei, le carte in regola per vincere la sfida di migliorare la salute del genere umano e porsi come modello?

Lo Human Technopole è nato da meno di due anni e siamo stati in grado finora di attrarre – da zero – grandi scienziati e grandi investimenti, direttori di ricerca tra cui Iain Mattaj già direttore dell’EMBL, l’European molecolar biology laboratory. Tutto questo sulla base di un piano chiaro e di obiettivi ambiziosi e la capacità di mettere in campo partnership pubblico-privato. In italia abbiamo degli asset fondamentali, una ricerca diffusa e di ottima qualità che produce tantissime pubblicazioni, un’industria farmaceutica che è la prima in Europa – di cui il 75% multinazionali o internazionalizzata – e una forte industria biotech e di dispositivi medici, ci mancava un centro con grandi tecnologie di alta scala e per l’elaborazione di dati. Serviva un grande catalizzatore per fare un ulteriore salto di qualità. Adesso con l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, dobbiamo avere l’ambizione di porci in Europa come leader per l’industria biotech e pharmatech. Una leadership sia scientifica sia industriale, perché le due cose vanno in parallelo, gli scienziati lavorano meglio in un luogo denso di persone che si occupano dello stesso argomento e viceversa. Lo dimostra il fatto, ad esempio, che le 10 città americane più specializzate nei diversi campi industriali mettono insieme oltre l’80% di brevetti in quei settori. Per queste ragioni, oggi è possibile replicare questo modello virtuoso sul tema dell’industria della vita a Milano e in Lombardia in particolare con un effetto a raggiera su tutto il territorio nazionale e non soltanto.


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