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Perché la Cina è (troppo) vicina. La lezione del prof. Pennisi

Cosa vuol dire Realpolitik? L’Enciclopedia Italiana la definisce: “Prassi politica fondata sugli interessi e non sui sentimenti o le ideologie”. Il termine risale allo scritto di G. Diezel, “Grundsätze der Realpolitik, angewandt auf die staatlichen Zustände Deutschlands” (1853) ed è usato soprattutto con riferimento alla politica di Otto von Bismarck.

In un’intervista al Corriere della Sera, il ministro degli Esteri e della Cooperazione Internazionale afferma che la nostra vicinanza alla Cina è frutto di Realpolitik. Mi chiedo quali sono gli interessi che legano l’Italia (non qualche personalità o qualche gruppo politico) alla Cina tanto da fare considerare quello che fu il Celeste Impero un partner privilegiato.

Leggendo l’ottima fotografia di quello che è il fu-Impero di Mezzo fatta, su questa testata, dal collega ed amico Massimo Balducci e sulla base della mia conoscenza personale della Cina e dei cinesi per alcuni decenni vedo interessi di Pechino ad inondare il nostro mercato di merce a basso costo, di contraffare nostri prodotti (è stata appositamente creata una città del nome di De Ruta dove si producono e si vendono in tutto il mondo ceramiche copiate nelle cittadina umbra, facendo credere che provengano dall’Italia), e potenzialmente (con la collaborazione di quelli che un tempo venivano chiamati utili idioti) diventare il principale fornitore di tecnologia 5G nel nostro Paese ed impossessarsi di tutti i nostri dati personali.

Luigi Di Maio dovrebbe tenere presente che una Realpolitik non può prescindere da questi elementi:

a) Il coronavirus, e la strage che sta facendo in tutto il mondo, proviene da una Cina nelle condizioni riassunte da Balducci, anche e soprattutto perché il governo ha celato il problema per almeno due mesi. Negli ultimi trent’anni, altre due letali epidemie (anche se in Europa non così gravi come il Covid-19) sono nate nel sottosviluppo e la promiscuità tra uomini ed animali che dietro grattacieli ed alte tecnologia (spesso ottenuta contraffacendo brevetti occidentali) domina gran parte della Cina di oggi.

b) L’offensiva del sorriso e della “carità pelosa” di questi giorni non deve trarci in inganno. Pechino sa che dopo il coronavirus, sarà isolata in quello che, ai tempi di Bismarck, veniva chiamato “il consesso delle Nazioni”. Gli Stati Uniti hanno fatto capire senza mezzi termini che quello che sarebbe dovuto essere un primo armistizio commerciale non verrà seguito da un secondo vero accordo commerciale, ma da una nuova guerra dei dazi. I maggiori Stati europei stanno cercando di forgiare una strategia comune ben articolata nei confronti degli autocrati della Città Proibita soprattutto in tema di alta tecnologia (come il 5G). Nessuno di loro è caduto nella trappola di siglare un Memorandum of Understanding come quello firmato dall’Italia. Quindi un “gemellaggio” con la Cina ci isolerebbe nel mondo occidentale e sarebbe contrario agli interessi dell’Italia.

c) Mentre li corteggiamo i cinesi (che si ritengono la razza eletta) ci sbeffeggiano, senza che la nostra diplomazia faccia nulla. Ad esempio, una televisione (di Stato) cinese ha mostrato immagini del flash mob in cui si cantava il nostro Inno Nazionale affermando che erano espressioni di gioia e ringraziamento per il cargo di materiale medico giunto a Ciampino da Pechino.

Parafrasando il titolo di un film del 1967 di Marco Bellocchio (allora ottenne il Leone d’Argento a Venezia), si deve concludere che La Cina è (troppo) vicina. È bene prenderne le distanze se non si vuole fare la fine del giovane e sprovveduto ragionier Marco, movimentista e costretto, alla fine del film, a fare un vero matrimonio d’interessi.



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