Riscrivere la storia del coronavirus sembra essere diventata la missione numero uno della diplomazia cinese. Basti pensare all’invio di “aiuti” – che non lo sono: si tratta infatti di materiale venduto – ai Paesi più in difficoltà, tra cui l’Italia. La propaganda cinese si sta muovendo lungo due direttrici. La prima: dipingere la Cina come la nazione che ha vinto la guerra contro il coronavirus e ora aiuta tutte le altre. La seconda: attaccare gli Stati Uniti sostenendo – come fa da giorni un alto funzionario del ministero degli Esteri cinese, Lijian Zhao, su Twitter – che siano stati loro, esattamente i militari a stelle e strisce, a portare il Covid-19 in Cina. Gli obiettivi sono anch’essi due. Il primo: nascondere le responsabilità del governo di Pechino nella gestione della crisi (il primo caso accertato in Cina è di metà novembre, come spiega bene il South China Morning Post). Il secondo: sfruttare il vantaggio temporale, ora che i Paesi occidentali appaiono i più colpiti e danno segnali di difficoltà di reazione.
LA GUERRA INFORMATIVA…
È una guerra psicologica combattuta a colpi di disinformazione. Non solo dalla Cina. Ma anche dalla Russia e dall’Iran, che attraverso l’ayatollah Ali Khamenei parla di “attacco biologico”, dimenticando probabilmente, ha fatto notare il segretario di Stato Mike Pompeo via Twitter, che chiudere i voli dalla Cina operati da Mahan Air avrebbe probabilmente aiutato a contenere la pandemia. Ma, come detto, è Pechino ad aver sguainato le spade della guerra informativa. E chi rischia di più è l’Europa tutta – e non soltanto la nostra Italia già convertitasi sulla Via della seta – al centro delle mire cinesi.
A fine marzo è in agenda a Pechino un summit tra Cina e Unione europea. Ma secondo quanto riporta la Reuters, il summit verrà rinviato, ma non cancellato. Non ci sono conferme ufficiali – per ora – ma molte voci si rincorrono tra i diplomatici europei e sono stati annullati gli incontri a Pechino e a Bruxelles nelle scorse settimane vista la pandemia da coronavirus.
… E LA MANCATA RECIPROCITÀ
“Se inviti qualcuno a casa, ti aspetti che ricambi l’invito”, ha detto pochi giorni fa la vicepresidente esecutiva della Commissione europea Margrethe Vestager mettendo nel mirino la concorrenza sleale di Pechino sul 5G e la mancata reciprocità sulla Via della seta, come spiegato su queste pagine. Il summit, scrive la Reuters, “priva l’Unione europea di una chance per spingere Pechino a mantenere la sua promessa, fatto nell’aprile dello scorso anno, di garantire alle imprese europee la parità di trattamento in Cina e di porre fine alla pratica che vede le società straniere costrette a condividere know-how sensibile se vogliono operare in Cina”.
Pechino e le sue politiche commerciali rappresentano una sfida per i 27. “Sotto la presidenza di Xi Jinping, la politica economica e commerciale è caratterizzata da un tecno-nazionalismo neo-mercantilista e dalla non convergenza con i Paesi Ocse”, si legge in un recente report del Mercator Institute for China Studies.
INCONTRI SALTATI
In sintesi, è mancato il tempo di lavorare e trovare intese verso l’accordo, che avrebbe dovuto coprire molti settori, dal commercio agli investimenti green. Addirittura, pare che nessuno abbia ancora iniziato a lavorare alla dichiarazione finale del summit di Pechino. Ed è da quella dichiarazione di Pechino che Unione europea e Cina dovrebbero partire per arrivare a firmare un’intesa a settembre a Lipsia. Il tempo non è molto – secondo il commissario al Commercio Phil Hogan, i documenti devono essere chiusi a luglio per poter essere firmati a settembre dal presidente cinese Xi Jinping e dai leader dei 27 Paesi europei. Ma il coronavirus sta rallentando tutto il processo.
NUOVO APPROCCIO EUROPEO
Qualcosa è cambiato, e non soltanto per la pandemia. In passato questi incontri erano poco più che colloqui per consolidare i legami e difendere il multilateralismo. Ora si parla di accordi molto più concreti. Ma un anno fa, nei giorni della firma italiana sul Memorandum con la Cina, il presidente francese Emmanuel Macron aveva chiesto di smetterla con “l’ingenuità” sulla Cina e la Commissione europea aveva definito la Cina un “rivale sistemico”. È la manifestazione del sentimento di diversi governi europei, innervositi e delusi dalla mancata reciprocità cinese.
Le prossime settimane e i prossimi mesi saranno contraddistinti da forti pressioni dentro e fuori l’Unione europea in vista del summit di Lipsia. Infatti, secondo un diplomatico europeo citato dalla Reuters, la Cina potrebbe provare a usare Lipsia come una “enorme macchina di propaganda” per mettere in mostra gli stretti legami con l’Unione europea, il più grande blocco commerciale del mondo, sfruttando la sua frammentazione che rischia di acuirsi con il coronavirus. E i primi segnali in questa direzione già ci sono: basti pensare, di nuovo, alla storia degli “aiuti”.