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Come rispondere alla prima crisi di sicurezza globale. L’analisi di Darnis

Dall’inizio degli anni 2000, la Commissione europea ha finanziato una serie di programmi di ricerca sulla sicurezza a partire dal sesto programma-quadro, proseguendo poi fino all’attuale Horizon 2020. L’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001 ha rappresentato un passaggio fondamentale di questa presa di coscienza: si capì che il terrorismo di matrice islamista radicale poteva rappresentare un elemento capace di mettere in crisi una larga parte del pianeta.

All’epoca, aveva tra l’altro colpito l’uso di strumenti “non convenzionali”, ovvero aerei civili dirottati e usati come vettori di distruzione. Da quel momento in poi si è ragionato sulla minaccia terroristica tramite l’analisi di scenari e di possibili falle che potevano essere l’oggetto di forme di attacco. Collaborando con altri centri europei, l’Istituto Affari Internazionali è stato pioniere in Italia nello promuovere attività all’interno della European Security Research, attraverso consorzi che associavano forze di sicurezza, produttori di tecnologia, centri di ricerca e istituti pubblici, fra i quali l’ospedale Spallanzani di Roma.

Va sottolineato che questo sforzo ha anche favorito l’ascesa di gruppi di attori nazionali, dei cluster, in grado di coordinare progetti e visioni sull’evoluzione della sicurezza, come la piattaforma Serit in Italia.

CYBERSECURITY E INFORMAZIONE

Nel primo decennio degli anni 2000, il tema dell’interruzione delle reti di infrastrutture critiche si è imposto come lo scenario di riferimento. Si è ritenuto che un’azione dolosa potesse rompere delle catene di forniture di elettricità, di acqua, di gas, di trasporto o di ospedali, bloccando di fatto la quotidianità del funzionamento delle nostre società democratiche e frenando l’economia. Il paradigma di un attacco a strutture “civili” proseguì dopo le Torri Gemelle. Nell’ambito di questi scenari è poi emersa un’ulteriore criticità, quella dei sistemi di comunicazione delle infrastrutture critiche. Si iniziò a ragionare quindi sulla debolezza e sulla possibilità di attacco alle reti di comunicazioni necessarie al buon funzionamento di qualsiasi infrastruttura.

La sensibilità delle tecnologie dell’informazione per gli scenari di sicurezza è poi diventata un elemento preponderante negli ultimi anni, rappresentato dall’onnipresente tema della sicurezza cibernetica. Man mano che si è sviluppata la digitalizzazione delle funzioni private e pubbliche della società, è cresciuta anche la consapevolezza di debolezze intrinseche ai sistemi digitali con l’impennata di attacchi o incidenti legati a questi strumenti. Questa logica spingeva a considerare che i pericoli di interruzione violenta della continuità delle nostre società fossero legati a potenziali attacchi cibernetici, scenario reso popolare ad esempio nel romanzo “Black Out” dell’autore tedesco Marc Elsberg, per poi addirittura spingersi fino a un futuro dove macchine “intelligenti” possano diventare un pericolo per l’uomo – classica visione della fantascienza che potremmo battezzare il “paradigma Skynet” facendo riferimento al film “Terminator 3 – le macchine ribelli”.

NATURA INCIDENTALE

La crisi del coronavirus Covid-19 che si sta sviluppando nel mondo ci deve però portare a riflettere su questo aspetto. Checché ne dicano i complottisti, non si tratta di un piano doloso messo appunto da un gruppo o da un Paese intento a destabilizzare l’intero pianeta. No, si tratta di un incidente, o meglio un’incidenza “naturale”, che certamente verrà poi meglio spiegata con ulteriori accertamenti scientifici, ma che riconduce a degli scenari di esplosione epidemica già vissuti, come la trasmissione da alcuni animali all’uomo.

Dobbiamo quindi ribadire con forza la natura casuale e incidentale dell’inizio della crisi epidemiologica. Questo elemento, che esclude scenari di intenzionalità dolosa, non è pero nuovo. Già nel contesto delle numerose ricerche sulla sicurezza effettuate in ambito europeo, la logica era quella di esaminare scenari di pericoli globali con matrice di tipo terroristico. Tuttavia, nell’ambito dei lavori con vari specialisti settoriali chiamati in causa, veniva sempre appurato che le crisi prese in considerazione potevano sorgere più probabilmente dopo incidenti o casi fortuiti, piuttosto che attraverso combriccole di colpevoli. Si tratta di un punto fondamentale che deve spingerci a sbarazzarsi delle paure antropocentriche, ovvero sia la proiezione dei propri timori sugli scenari di sicurezza, per guardare con più pragmatismo alle criticità del mondo globalizzato.

SANITÀ PUBBLICA A RISCHIO COLLASSO

Gli studi compiuti erano stati centrati nell’individuare le potenzialità di rottura legate ad un fattore strategico. Nel contesto del Covid-19 osserviamo come la disponibilità di capacità di assistenza respiratoria negli ospedali rappresenta un punto critico della crisi in corso, perché una percentuale non indifferente (fra i 6 e l’8%, secondo le valutazioni) dei contagiati ha bisogno di questo tipo di assistenza. Gli scenari di intasamento che emergono, ad esempio in Lombardia, fanno poi palesare effetti collaterali pesantissimi per l’intera rete ospedaliera, rischiando di mettere a repentaglio la continuità di funzionamento della salute pubblica. I vari piani di contrasto al contagio hanno come obiettivo quello di rallentare la crescita dei casi per evitare lo scenario catastrofico di collasso delle strutture ospedaliere, visto che ciò potrebbe portare a una rottura di continuità delle nostre società.

Ed è su questo punto che bisogna sbaragliare il campo da quelli che vogliono paragonare la crisi attuale ad una “normale” pandemia. Se è vero che per la stragrande maggioranza degli individui il Covid-19 non rappresenta un pericolo diretto, in quanto il contagio non produce effetti gravi, il virus rappresenta però il primo vero scenario di rottura della continuità sanitaria, e quindi sociale, per gli effetti indiretti sulla rete ospedaliera. Bisogna che questo elemento sia molto chiaro se si vuole comprendere l’importanza della lotta e delle misure di contenimento, che non servono a proteggere soltanto il singolo individuo, ma a evitare il crollo delle nostre società su un punto critico, quello della persistenza delle cure ospedaliere.

COME RISPONDERE ALLA CRISI

Stiamo quindi affrontando la prima crisi di sicurezza globale. Questa emergenza incidentale presenta un chiaro scenario di potenziale interruzione della continuità della società, una realtà difficile che va affrontata con grandissima dedizione e che ci dovrà poi spingere a ulteriori riflessioni. Le analisi sulla sicurezza europea avevano avanzato un concetto di ridondanza e di resilienza, ovvero sia la capacità di resistere a delle interruzioni di un’infrastruttura critica potendo contare su altre risorse o sistemi, o su capacità in eccesso.

Nel caso Covid-19 già abbiamo capito che una maggiore capacità umana e tecnologica della rete di salute pubblica rappresenta un’assicurazione nei confronti di eventi che, seppur non facilmente prevedibili, vanno poi affrontati. Al di là delle pianificazioni, la solidità della rete pubblica sembra fondamentale ed è un fattore che andrà poi considerato con attenzione nel dopo-crisi.

 

 

Analisi pubblicata su AffarInternazionali.it


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