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Non siamo in guerra. Basta balletti sul coronavirus. Parla Fulvio Giuliani

Spesso abbiamo invocato un’Europa capace di parlare con una voce sola. Ecco, saremmo molto felici, in questa fase di emergenza, di vivere in un’Italia capace di esprimersi con una sola voce. Autorevole.

Non può che essere quella del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. Non ci sono altre strade, per meglio dire le abbiamo esplorate e non sono certo incoraggianti. Anzi, non portano proprio da nessuna parte. Il balletto di ieri pomeriggio, alquanto indecoroso, sulla chiusura delle scuole ne è la prova regina. Incomprensibile e grave far filtrare voci robustissime, su un provvedimento di questa portata e impatto, per poi affrettarsi a smentirle, con un affannato intervento del Ministro competente, nel giro di 15 minuti. Così, si fanno guai. Si genera incertezza e si dà una pericolosissima immagine di indecisione, a un Paese che ha bisogno esattamente dell’opposto.

Conte se n’è reso conto, scegliendo ieri sera la strada del video messaggio ai cittadini. Apparsa, però, più che altro una conferma dell’errore commesso. Perché intorno a lui e al governo continuano troppi balletti, come quello sconcertante della comunità scientifica. Non è un mistero che il comitato tecnico di Palazzo Chigi abbia espresso più di qualche perplessità sulla misura della chiusura delle scuole, su tutto il territorio nazionale, mentre altri esperti ne difendevano a spada tratta le ragioni. Così come non abbiamo bisogno di annunci, su misure di sostegno alle famiglie, ma di provvedimenti concreti e veloci.

I balletti appaiono ancora più surreali, quando si parla di misure fortemente impattanti sulla nostra vita, come le limitazioni alle strette di mano e alle effusioni fra le persone. Non possiamo permetterci di sottovalutare neppure per un istante la portata di decisioni di questo tenore, perché sono di un simbolismo potente: fanno sentire il Paese in uno “stato di guerra”. Non rischiamo bombe dal cielo o cinture esplosive, il nostro incubo per un paio di decenni, ma il nemico resta oscuro, inafferrabile e, in questo caso, intangibile.

È come il realizzarsi di quei film catastrofisti, che tanto stuzzicano il palato del pubblico, ovviamente quando se ne può stare al calduccio delle sue sicurezze. Oggi, che queste sicurezze vacillano e siamo tutti chiamati ad un temporaneo cambio radicale di abitudini, non possiamo permetterci tentennamenti, i “si dice” e soprattutto la sensazione che chi comandi non sappia dove andare. La trasparenza è un valore fondante delle nostre democrazie, ma anche una sfida regina: devi commettere il numero minore di errori possibile.

Facile? Per nulla, ma è il fardello del comando, bellezza.

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