Se è vero che il contagio dovuto al Coronavirus colpisce in gran parte le generazioni più anziane, tuttavia non senza eccezioni, è altrettanto vero che le generazioni più giovani non possono stare per niente tranquille. Le ricadute di tipo economico e sociale rischiano infatti di farsi sentire anche, e forse soprattutto, sui più giovani. Di questo Formiche.net ne ha parlato con il prof. Alessandro Rosina, docente di Demografia presso l’Università Cattolica di Milano e autore del libro “Il futuro non invecchia” (Vita e Pensiero, 2018).
Professore, in questi terribili giorni vediamo scorrere sui nostri schermi e monitor i numeri, tragici, dei decessi dovuti al coronavirus. Con un senso drammatico di impotenza. Come influisce, tutto questo, sulla nostra situazione demografica, già non priva di problemi e difficoltà?
La pandemia di Covid-19 sta colpendo in modo particolarmente accentuato il nostro Paese. Uno dei motivi è anche l’elevata presenza di anziani e cosiddetti “grandi anziani” (gli over 80), particolarmente fragili per condizioni fisiche e presenza spesso di altre patologie. Gli over 80 in Italia sono oltre 4 milioni e 300 mila, un dato quasi equivalente a tutta la popolazione dell’Irlanda. In alcune regioni, in particolare la Lombardia, il numero giornaliero di decessi è arrivato a raddoppiare quelli osservati negli anni scorsi, in periodo di “normalità”. Ci sono state epidemie molto più gravi nel passato, ma per le società moderne avanzate l’impatto di questa crisi sanitaria è del tutto inedito. Questo fa capire che non bisogna mai abbassare la guardia rispetto a questi rischi.
In questo momento vediamo che il timone delle discussioni non sta più in mano a opinionisti e politici, ma ai medici. Trova che questo stia portando in una crescita di fiducia, da parte degli italiani, nella scienza?
Veniamo da anni in cui sembrava che la vaccinazione fosse un optional, che le competenze non fossero più necessarie, che i dati scientifici potessero essere sostituiti dal senso comune veicolato dai social. Ora, in questa emergenza, con i timori che suscita e le misure drastiche prese, i dati e gli esperti sono tornati al centro dell’attenzione. Penso che questo sia positivo ed è importante che si consolidi questa fiducia anche dopo questa crisi. Molte cose che abbiamo dato per scontate non potranno più esserlo in futuro. Si dovrà in ogni caso, anche a livello collettivo, investire di più sull’innovazione, su ricerca e sviluppo, ma anche sulla solidità del sistema di welfare.
La maggior parte dei decessi ha un’età molto avanzata. Tuttavia, il clima che si sta generando, e le condizioni in cui si è portati a vivere ora, e inevitabilmente anche nei prossimi mesi, rischiano di influire anche sulla natalità?
L’impatto più diretto dell’epidemia è quello sulla mortalità ed è concentrato soprattutto sulle generazioni più anziane. Le conseguenze però indirette, con maggior impatto sul futuro del paese, rischiano di ricadere invece soprattutto sulle nuove generazioni, soprattutto indebolendo i percorsi formativi e professionali. La natalità italiana era già tra le peggiori in Europa e in continua diminuzione, anche a causa delle difficoltà oggettive delle nuove generazioni e l’incertezza verso il futuro. Va tenuto presente che già prima di questa crisi eravamo il paese con record di Neet in Europa (gli under 35 che non studiano e non lavorano) e con più tardiva età alla nascita del primo figlio. Il rischio è quindi che le scelte di chi progettava l’uscita dalla casa dei genitori, di formazione di una propria famiglia, di avere un figlio, vengano ulteriormente posticipate e riviste al ribasso.
In Gran Bretagna una delle prime risposte è stata quella di obbligare all’isolamento soltanto gli over 70. Bisogna pensare all’emergenza anche in termini intergenerazionali?
Bisogna considerare sia le specifiche fragilità e potenzialità delle diverse generazioni e delle diverse età della vita. Ma è illusorio e forse sbagliato pensare all’isolamento solo degli anziani, con la pretesa di continuare il resto della vita sociale ed economica come se niente fosse. C’è necessità di una consapevolezza e responsabilità collettiva, che deve vederci tutti uniti.
Quali sono i rischi maggiori che sorgeranno da questa emergenza, oltre a quello economico? Penso a quello educativo, con le scuole chiuse, ma non solo.
Il tema educativo è centrale. Se si improvvisa e non si adotta una strategia adeguata, accessibile a tutti, il rischio è quello di impoverire la formazione complessiva dei più giovani ma anche di inasprire le diseguaglianze sociali. In un comunicato congiunto, le associazioni Alleanza per l’infanzia e Investing in children hanno chiesto al governo l’importanza di rafforzare le azioni volte a sostenere le famiglie con problemi economici o che vivono in quei quartieri dove già la dispersione scolastica è a livelli altissimi. In tali famiglie non mancano solo tablet e connessione wifi, ma anche supporto e competenze dei genitori per sostenere i figli nell’approccio della home education integrata con la fruizione della formazione a distanza.
Si dice che nelle epoche passate l’impatto delle epidemie era più devastante. Ma come si controlla oggi il contagio epidemico, in un mondo globale in cui tutto è connesso?
Il contagio si controlla, come per le ben più gravi epidemie del passato, soprattutto attraverso la riduzione dei contatti fisici. Oggi possiamo rimanere isolati ma continuare, in buona parte, ad essere in relazione con gli altri dal punto di vista sociale e lavorativo, grazie alle nuove tecnologie. Ma anche qui non si può improvvisare, che si tratti di formazione a distanza o smart working. Quello delle nuove tecnologie da sviluppare coniugando efficienza, sicurezza e valorizzazione della componente umana sarà un tema centrale nei prossimi anni.
La condizione di vita che avevamo raggiunto e che ci sembrava irreversibile, oggi si riscopre improvvisamente, e inevitabilmente, precaria e instabile?
Nulla è irreversibile. Siamo in cammino continuo nella costruzione di un mondo migliore, che ha alla base l’impegno di fornire alle nuove generazioni gli strumenti per capirlo e per agire da protagoniste. Non dobbiamo considerare gli obiettivi di benessere raggiunti come scontati, ma non dobbiamo nemmeno rinunciare all’ambizione di guardare oltre le difficoltà contingenti per capire in quale direzione costruire il futuro. Dopo la tempesta bisognerà ritrovare una solida rotta.