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Ecco l’origine del flop comunicativo sul coronavirus

L’impatto assolutamente negativo e disfunzionale causato dal modo in cui il problema del virus corona è stato comunicato è dovuto sicuramente in parte al desiderio di protagonismo dei nostri politici nazionali e regionali. Ma, se può spiegare la sovraesposizione dei politici, questo desiderio di protagonismo non può spiegare la confusione dei messaggi a contenuto tecnico, messaggi che non sono certo stati generati dal livello politico. Tali messaggi provengono dalla tecnostruttura.

Da un po’ di tempo ci stiamo ripetendo che la nostra sanità sarebbe una delle migliori al mondo. Su uno scenario di 190 Paesi è probabile che ci si collochi tra i primo 40. Per chi conosce, per frequentazione diretta, le sanità al di sopra delle Alpi l’affermazione sembra un po’ esagerata. La competenza e la dedizione del personale sanitario nonché la disponibilità di strumentazione delle sanità delle regioni del centro-nord sono sicuramente all’avanguardia. Non altrettanto si può dire dell’organizzazione. L’organizzazione della nostra sanità risente di un peccato originale ed è a questo peccato originale che bisogna ricondurre il disastro nella comunicazione.

Orbene quale è questo peccato originale? Quando nel 1978 si realizzò il Sistema sanitario nazionale (con la legge 833, legge quadro per l’assetto costituzionale allora esistente, legge, cioè, alla quale dovevano attenersi tutte le Regioni, di modo che anche oggi i sistemi sanitari regionali sono molto più simili tra di loro di quanto non si ami ammettere) si decise, inopinatamente, di non separare le strutture che erogano i servizi dall’articolazione del territorio che richiede i servizi. Per intenderci,  gli ospedali (definiti nella normativa non come tali ma come “presidi ospedalieri”) non esistono, non hanno una loro identità giuridica e operativa, non hanno né personalità giuridica né autonomia contabile. Quando vado a farmi visitare in modalità così detta “intra moenia”, cioè a pagamento, al presidio ospedaliero di “Santa Maria Nuova” a Firenze, la notula mi viene mandata non dall’ospedale di Santa Maria Nuova ma dalla Asl Toscana Centro.

I presidi ospedalieri non hanno personalità giuridica né autonomia contabile così come non  hanno personalità giuridica né autonomia contabile i “distretti”, cioè i vari ambiti territoriali in cui le Asl sono articolate. Viene meno in questo modo la separazione tra domanda di servizi e offerta di servizi. Separazione ideologicamente sostituita dalla “programmazione”. Come se la domanda di salute potesse essere programmata. Solo l’offerta può essere programmata! La coesistenza di strutture ospedaliere private accanto ai presidi ospedalieri pubblici non deve illuderci. Le strutture private (si va dalla situazione lombarda dove tali strutture coprono circa il 50% dei servizi offerti alla situazione toscana dove il privato offre ca. il 5% dei servizi offerti) sono posti in una situazione ancillare rispetto ai presidi pubblici, dai quali vengono “accreditati”, laddove l’accreditamento della struttura pubblica è basato su una autocertificazione.

La confusione che ne deriva è notevole. Vediamo come questa confusione ha influenzato la comunicazione. L’operatore ospedaliero è portato a concentrarsi sul singolo caso cui dedica tutta l’attenzione e tutti gli sforzi per risolverne positivamente la problematica. La dedizione dell’operatore ospedaliero è al di fuori di ogni discussione. All’operatore ospedaliero viene però a mancare, in questo modo, la prospettiva d’insieme, la visione sistemica. All’operatore ospedaliero non importa se ogni anno muoiono 25.000 persone perché, infartuate, non riescono a raggiungere in tempo l’ospedale, né importa se la letalità per influenza è superiore alla letalità dovuta al virus corona. L’operatore ospedaliero mira a curare i pazienti che arrivano al suo presidio ospedaliero, indipendentemente dai costi, anche in considerazione della confusione contabile che regna nei nostri presidi ospedalieri. Le misure drastiche ed esagerate comunicate inopinatamente dai nostri politici nazionali e regionali affondano le loro radici in questa distorsione di prospettiva.

Dal 1978, anno della creazione del servizio sanitario nazionale con la legge 833, sono nati come funghi corsi master in gestione degli ospedali. A parte il fatto che questi corsi si rifanno a modelli anglosassoni dove gli ospedali possono contare su una autonomia giuridica e gestionale che non esiste nei nostri presidi ospedalieri e che, quindi, insegnano cose non applicabili da noi, da noi non si è ancora  sentito il bisogno di formare gli operatori che dovrebbero creare i gestori dei sistemi territoriali. A fronte di una miriade di corsi master in gestione ospedaliera (corsi che scimmiottano i master anglosassoni in Hospital Management) non esistono corsi in Publich Health o Santé Publique! La prospettiva sistemica è di fatto ignorata. Per questo non ci si è chiesti se valesse la pena mettere in piedi una serie di provvedimenti dall’impatto non sostenibile. Ci si è posti esclusivamente nella prospettiva  della “cura del singolo infetto”.

La mancata identificazione giuridica e contabile dell’ambito territoriale non è, inoltre, certo estranea alla emanazione di misure estese su vasti ambiti territoriali e non mirate a territori ben delimitati.

La mancata distinzione tra offerta di servizi e domanda di servizi si traduce in una serie di disfunzioni micro – organizzative tali per cui le ASL della Toscana, ad esempio, non sono assicurate. I premi assicurativi richiesti dalle compagnie di assicurazione per assicurare e riassicurare strutture così confuse sarebbero altissimi e, quindi, insostenibili.

La nostra sanità risente di un modello organizzativo nato in un momento storico ben preciso: quello della così detta “non sfiducia”, quando il partito comunista (allora ancora pesantemente ideologizzato) era di fatto entrato nell’area di governo ponendo dei condizionamenti non certo leggeri. Trentotto anni dopo a presidenti di regione quali Zaia e Fontana, presidenti certamente non condizionati da una ideologia di sinistra, tutti immersi nell’affrontare i problemi quotidiani, è venuta meno la consapevolezza dei condizionamenti istituzionali, di origine ideologica, delle macchine che sono chiamati a gestire.

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