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Coronavirus, colpa degli Usa? La propaganda della Cina senza vergogna

C’è il bollino del Partito comunista cinese e del governo di Pechino sulla teoria complottistica secondo cui potrebbe essere stato l’esercito statunitense ad aver portato l’epidemia a Wuhan. Quando? In occasione dei Giochi militari dell’ottobre 2019, quando nella città epicentro del coronavirus erano arrivati 300 militari a stelle e strisce. A sostenerlo è un portavoce del ministero degli Esteri cinese, Zhao Lijian che ha cercato di replicare via Twitter al consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, Robert O’Brien, che poche ore prima aveva dichiarato i ritardi della Cina erano costata al mondo intero un ritardo di circa due mesi.

Due i cinguettii in lingua inglese del diplomatico cinese (da un account verificato!) sulla falsa riga di quanto dichiarato anche da un collega, il portavoce Geng Shuang, che aveva criticato i funzionari statunitensi per i loro commenti “immorali e irresponsabili” in merito alla gestione della crisi da parte della Cina.

Oggi il ministero degli Esteri cinese ha tentato di metterci una pezza. “In effetti, la comunità internazionale, compresi gli Stati Uniti, ha opinioni diverse sull’origine del virus. Come ho detto molte volte, la Cina ritiene che si tratti di un problema scientifico, è necessario ascoltare pareri professionali”, ha detto il portavoce Geng Shuang rispondendo alla stampa ma evitando di commentare i tweet del collega.

Come ricorda l’Agenzia Nova, “le teorie cospiratorie secondo cui il nuovo coronavirus sarebbe un’arma biologica creata dagli Stati Uniti per frenare l’ascesa della superpotenza cinese circolano sui social media cinesi da mesi, e sono state rilanciate talvolta dalle stesse autorità di Pechino”. A partire dal sito delle Forze armate cinesi, Xilu.com, che recentemente ha pubblicato un articolo secondo cui il coronavirus sarebbe “un’arma biochimica prodotta dagli Stati Uniti contro la Cina”. È invece scomparso in Cina, ricorda sempre Agenzia Nova, ogni riferimento a uno studio pubblicato lo scorso 6 febbraio da Botao Xiao, specialista cinese di Dna della South China University of Technology, che in passato ha lavorato presso il laboratorio biochimico di massima sicurezza sito a Wuhan, oggetto di numerose teorie cospirazioniste in merito all’origine della Covid-19. Lo studio, rimosso prima di essere sottoposto a peer review, denunciava falle negli standard di sicurezza presso il laboratorio, dove venivano condotti studi proprio su ceppi di coronavirus trasmessi da pipistrelli, e contemplava su questa base l’ipotesi che il virus fosse stato propagato per errore dalla struttura.

Due cose dobbiamo osservare. La prima: il portavoce ha chiesto che a parlare sia la scienza. Non si spiega quindi come mai tra le donazioni cinesi arrivate in Italia ci sia, come ha evidenziato Giulia Pompili del Foglio via Twitter, il Lianhuaqingwen, “una pillola che si usa nella medicina tradizionale cinese e che non ha avuto trial da nessuna parte in occidente” ma è “molto sponsorizzata dai media cinesi”. La seconda: diamo credito alla tesi di Zhao Lijian e consideriamo il periodo di incubazione, allora Pechino sembra confermare i sospetti che il virus sia nato ben prima delle segnalazioni di fine dicembre, cioè tra ottobre e novembre.

Zhao Lijian è da sempre sotto i riflettori di Twitter essendo stati uno dei primi diplomatici cinesi a utilizzarlo. Per Buzzfeed è “la voce combattiva, burrascosa e decisamente trumpiana della Repubblica popolare cinese su Twitter”. In passato Susan Rice, ex consigliere per la sicurezza nazionale statunitense, lo accusò di essere “una disgrazia razzista” e uno “sciocco ignorante” per aver sostenuto che a Washington esista la segregazione (dovrebbero pensare a Washington, non allo Xinjiang, disse precedentemente il diplomatico cinese). Più recentemente è finito sotto accusa per aver bloccato su Twitter analisti che si occupano di Cina come Bill Bishop di Sinocism e Bonnies Glaser del Centre for Strategic and International Studies ma anche giornalisti come James Palmer di Foreign Policy.


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