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Francia, Germania e Stati Uniti, nessuno è immune al contagio. Il commento di Malgieri

Ed ora che si dice in quei Paesi europei con la puzza sotto il naso che accusavano l’Italia di aver propagato il virus sostanzialmente per inefficienza e chiedevano, come la gentile signora Marine Le Pen, la chiusura delle frontiere? In Francia, mentre scriviamo, sono 191 i casi d’infezione e 4 i morti, ma il contagio è fatalmente destinato ad allargarsi, come altrove.

L’immagine del Louvre sprangato, non per disposizione delle autorità, ma per sollevazione del personale che teme l’epidemia, è desolante. Come desolante è stato l’annullamento del Salone del libro di Parigi. Non bastano, evidentemente,  le ordinarie misure di prevenzione e di sicurezza agli addetti al grande museo ed alle imponenti manifestazioni: la gente se ne deve proprio andare, con o senza mascherina. Un esempio di attiva inciviltà che non trova giustificazioni.

Se tutti facessero così, il mondo si fermerebbe. Eppure non si ferma. Ancora. Nonostante i 3000 decessi in sessantatre Paesi, dei quali 2900 soltanto in Cina, culla del virus, dove tuttavia, i contagi stanno calando – e questa è una vera ed incontestabile buona notizia – mentre il primo ospedale di emergenza a Wuhan ha chiuso.

Dove pure si sono accorti del coronavirus, immaginando che non sarebbero stati lambiti dal morbo, è negli Stati Uniti. Ricordate le non cortesi parole di Trump soltanto pochi giorni fa indirizzate immancabilmente all’Italia? Nello Stato di Washington c’è stato il primo decesso e a New York si cominciano a contare gli infetti.

Anche la Germania che si mostrava spavalda quando l’Italia era già in ginocchio ha aggiunto altri ventotto casi ed i contagiati sono in tutto 157. Il picco, dicono gli esperti, si dovrebbe avere nei prossimi giorni. Poi speriamo che tutto finisca. Fidare nel vaccino è pia illusione: ci vorrà almeno un anno e mezzo per averlo a disposizione, e siamo ottimisti.

Ha brillato, e continua a brillare, in questa triste e drammatica contingenza l’Unione europea, al punto che viene davvero da chiedersi  a che cosa serva quel caravanserraglio di Bruxelles, fonte di polemiche e di divisioni. Brilla, ovviamente per assenza. La sua voce non è mai pervenuta. D’accordo, sappiamo bene che la sanità è materia esclusiva degli Stati nazionali, ma la solidarietà è universale. E non si sarebbe scandalizzato nessuno degli  Stati membri se una task force europea si fosse messa all’opera, coordinando i migliori esperti della virologia, per dare una mano, fosse pure in forma di consigli e suggerimenti. Quel che dall’Europa è arrivato è stato il boato di accuse all’Italia, immaginando forse, soprattutto nella vicina Francia, che il problema sarebbe stato tutto nostro, dei “soliti italiani” incapaci di provvedere a se stessi.

Non sappiamo se il contagio ha alimentato la paura nei francesi, nei tedeschi, negli olandesi, e via dicendo. Certo è che non siamo più soli. Anzi, ci sentiamo particolarmente uniti nel dolore e nell’apprensione a Paesi che non hanno saputo tacere nel momento in cui avrebbero dovuto.

Adesso parlano tutti. Dovrebbe parlare, e non si capisce a che titolo, la nuova star dell’ambientalismo, Greta Thunberg, prezzemolo in ogni minestra, al Parlamento europeo. La sua audizione, prevista per domani, potrebbe essere rimandata in ossequio alle nuove disposizioni precauzionali disposte a Bruxelles.

Comunque quel che non si è capito all’inizio della diffusione del virus e che, con colpevole ritardo, si sta comprendendo oggi, è che nessuno è immune da contagi tanto violenti ed estesi, dovunque essi nascano. Neppure a Parigi dove vanno di moda le mascherine invece dei colorati foulard in queste settimane.

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