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La politica non si occupi di sicurezza. La risposta di Huawei al Copasir

“Oggi le mascherine, domani Huawei”, ha spiegato in un’intervista con Formiche.net Ian Bremmer. Secondo il politologo e presidente di Eurasia Group, l’operazione di sensibilizzazione cinese dell’Italia e dell’Europa in tempo di coronavirus renderà il Vecchio continente “molto più dipendente dalla Cina, e più propenso a resistere agli Stati Uniti su questioni come la concessione del 5G a Huawei”. Ma forse non servirà aspettare molto per vedere l’ombra di Huawei, una delle armi principali dello sharp power di Pechino, dietro gli sforzi cinesi di ribaltare la narrativa della pandemia per passare dall’essere ritenuti gli untori a essere applauditi come i salvatori del mondo. 

LE ATTENZIONI DI SCHENZEN

L’Italia è stato il primo Paese d’Europa a subire la pandemia, a ricevere gli “aiuti” cinesi e ora anche a finire al centro degli interessi del colosso di Shenzhen proprio in materia di coronavirus. Intervistato da DigitEconomy.24 per lo speciale coronavirus curato da Luiss Business School e Il Sole 24 Ore, il presidente di Huawei Italia Luigi De Vecchis ha spiegato come sta agendo “in questi giorni drammatici per la vita del Paese” l’azienda: “mettendo sul piatto, oltre alla donazione di una serie di apparati di protezione, la possibilità di collegare in cloud gli ospedali italiani tra di loro, comunicando con le unità di crisi”. 

In palio sembrano esserci quindi i dati sanitari degli italiani, con la cinese Huawei che tenta di riuscire nell’operazione negata alla statunitense IBM con il suo sistema Watson.

IL MODELLO WUHAN…

Nell’intervista torna uno dei temi principe della narrativa cinese di questi giorni, il modello Wuhan. “Vorremmo anche collegare i centri di eccellenza italiani con gli ospedali cinesi di Wuhan che hanno già sperimentato sul campo il contenimento dell’epidemia”, ha spiegato De Vecchis. “La Cina è riuscita a reagire bene anche con il contributo delle tecnologie (intelligenza artificiale, big data). Dal punto di vista interno non abbiamo nessun problema operativo, ad esempio alcuni giorni fa abbiamo fatto un meeting con centinaia di persone da tutta Italia in videoconferenza”. 

… E I SUOI CRITICI

Al modello Wuhan molti hanno avanzato critiche. Da ultimo, su queste colonne, il deputato leghista Paolo Formentini, che ha spiegato “al modello Wuhan preferiamo il modello Codogno”. Perché “anche la Lega ha chiesto dall’inizio la chiusura totale della zona rossa” ma “le analogie finiscono qui”, ci ha detto. “Per il resto parliamo di un regime che ha gestito in modo non chiaro questa pandemia. Non sappiamo da stime certe i numeri reali, ma sappiamo con certezza che chi fra i giornalisti cinesi ha provato a metterli in discussione è scomparso nel nulla”.

LA SICUREZZA DELLE RETI…

De Vecchis ha parlato anche di sicurezza delle reti e del piano Ue sul 5G che l’Italia presto dovrà recepire. In particolare, ha sostenuto, rispondendo a una domande sugli aiuti di Stato ricevuti dal governo cinese, che “Huawei è un’azienda che ha un bilancio controllato da Kpmg e investe in ricerca e sviluppo oltre il 15% del proprio fatturato. I soldi non vengono dal governo cinese ma dal nostro fatturato”. È la linea difensiva che Huawei va ripetendo da fine dicembre nel tentativo di soddisfare le richieste di chiarimenti dopo che il Wall Street Journal ha rivelato aiuti di Stato per circa 46 miliardi di dollari di prestiti, linee di credito e altri finanziamenti da istituti di credito statali, 25 miliardi di agevolazioni fiscali, 2 miliardi di sconti sugli acquisti di terreni, 1,6 miliardi in sovvenzioni – un totale, ricorda Il Sole 24 Ore di circa 75 miliardi “che avrebbero permesso a Huawei di diventare Huawei, insomma”. 

… E L’ATTACCO AL COPASIR

Nell’intervista si parla anche del lavoro del Dis sul perimetro informatico di sicurezza e di Copasir. Quello del Dis per De Vecchis “è l’approccio giusto” e “speriamo che presto siano rimossi i pregiudizi contro i vendor extraeuropei”. Tuttavia, avverte che se si procede “con la realizzazione del 5G con un solo vendor, questo sarebbe un vero disastro per la sicurezza delle reti nel mondo”. 

Quanto al Copasir, invece, De Vecchis spiega che è “infondata” la nota del Copasir: “la legge sulla sicurezza in Cina è chiara, gli obblighi di informazione verso il governo cinese riguardano solo quanto accade nella Cina stessa”, ha spiegato. “Non è scritto da nessuna parte che le aziende o le persone siano obbligate a farlo fuori dalla Cina”. 

IL RUOLO DELLA POLITICA

“La sicurezza ha bisogno di una risposta tecnica e non politica”, ha sostenuto nell’intervista De Vecchis. Sorprende leggere da un’azienda cinese un’invocazione al libero mercato, specie quando è in gioco l’interesse nazionale e la sicurezza cibernetica.

A tal proposito il rapporto di dicembre del Copasir spiegava: “È stato posto in rilievo che in Cina gli organi dello Stato e le stesse strutture di intelligence possono fare pieno affidamento sulla collaborazione di cittadini e imprese, e ciò sulla base di specifiche disposizioni legislative”. Lo prevede in particolare una legge del 2017, la National Security Law, che “obbliga, in via generale, cittadini e organizzazioni a fornire supporto e assistenza alle autorità di pubblica sicurezza militari e alle agenzie di intelligence”. Senza dimenticare la Cyber Security Law, che impone agli operatori di rete di “fornire supporto agli organi di polizia e alle agenzie di intelligence nella salvaguardia della sicurezza e degli interessi nazionali”.



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