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L’Italia, il coronavirus e la maledizione della decrescita (in)felice. L’analisi di Polillo

Con i provvedimenti appena annunciati dal governo, per far fronte alla catastrofe del coronavirus, inizia il secondo tempo della partita. Il primo si era chiuso sotto la regia di Rocco Casalino, che aveva costretto il presidente del Consiglio, ad un vero e proprio tour de force comunicativo. Continua presenza presso la sede della protezione civile. Comparsate in ogni programma televisivo. Unica eccezione le reti televisive specializzate nei programmi dei più piccini. Un generale in servizio permanente effettivo presso la situation room. Nemmeno fossimo alla Casa Bianca.

Difficile prevederne i risultati in termini politici. In Italia l’immagine del presidente del Consiglio, fino a ieri solo “avvocato del popolo”, risulterà migliorata o peggiorata, a causa di un’eccessiva esposizione? Si vedrà. Quel che, invece, è più evidente è il riflesso internazionale di quella stessa strategia. All’estero l’Italia è apparsa come un Paese sull’orlo di una crisi di nervi.

L’intensità della comunicazione è apparsa come il riflesso di un’emergenza nazionale ben più vasta (almeno così si spera) della sua reale portata. Quando nelle altre capitali – da Parigi, a Berlino – prevaleva il silenzio e la prudenza. Al punto da lasciare tutti all’oscuro, circa la portata di un possibile contagio. I prossimi giorni ci diranno chi ha avuto ragione, nel forzare o nel nascondere. Nel frattempo non resta che sperare nel riscaldamento globale. Con l’anticipo dei caldi primaverili, che renderanno più difficile il propagarsi del virus.

In questo secondo tempo della partita, tuttavia, si rischia, ancora una volta, di cedere di fronte alle esigenze della semplice comunicazione politica. Nella speranza ch’essa possa essere foriera di nuovi consensi elettorali. Si é infatti partiti con il piede sbagliato. Le cose – questo il retro pensiero – andavano se non bene, almeno benino. Poi è subentrato questo virus maledetto. E la situazione, all’improvviso, è peggiorata. Lettura del tutto fuorviante.

Lo scorso 31 gennaio, quando il coronavirus era ancora un problema esclusivamente cinese, l’Istat aveva indicato che “la variazione acquisita” del Pil ”per il 2020” era “pari a –0,2%”. Il sintomo più vistoso di un’imminente recessione. Contro il quale, il ministro dell’economia, Roberto Gualtieri, non aveva potuto far altro che invocare un possibile miglioramento (“un ribalzo”) futuro. Inutile aggiungere che questa speranza sembra essere venuta meno. Sarà quindi recessione. Quanto profonda: è tutto da vedere, in relazione al decorso della malattia. Sviluppo dell’epidemia, ma anche preesistente malessere di una società, come quella italiana, che non riesce a scrollarsi di dosso la maledizione della “decrescita (in)felice”.

Le misure annunciate, purtroppo, sembrano non cogliere questa complessa relazione. Hanno un inevitabile sapore congiunturale. Portano sollievo ai più sfortunati, ma non sono assolutamente in grado di rispondere ai problemi di fondo, che da anni, condizionano il destino dell’Italia. Che sono poi quelli di una crescita insufficiente – la madre di tutte le battaglie – ma su cui nessuno sembra essere disposto ad una ben minima riflessione. Eppure i segnali, in controtendenza, non mancano, anche se continuamente sepolti nel chiacchiericcio politico quotidiano.

L’ultimo report della Commissione europea (Country report 2020), appena uscito, denuncia il pericolo di una possibile valanga. Quello che gli economisti chiamano l’effetto “palla di neve”. Un piccolo sasso che cade dall’alto di una montagna, dando origine ad una devastante slavina. Ebbene questo piccolo sasso è dato dalla bassa crescita del Pil (che la stessa Commissione stimava nello 0,3 per cento per il 2020) ed il simultaneo aumento degli spread. Fenomeni che si stanno entrambi verificando, in una dimensione ben più preoccupante, rispetto allo scenario di base, evocato dalla Commissione. Come reagirà il governo italiano? Continuerà a spargere cloroformio o cercherà di prendere di petto la situazione? Dalla relativa risposta dipenderà il destino più immediato del Paese. Ed allora non resta che incrociare le dita e fare gli scongiuri.



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