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Coronavirus in Italia, tra soft power cinese e gli egoismi degli Stati europei

Di Stefano Cianciotta e Mauro Cappello

Il Continente fallito, schiacciato da corruzione, povertà e mancanza di investimenti. Così l’Africa veniva descritta dall’Economist nel 1998. Due anni più tardi, con la creazione del Forum Economico Cina-Africa, Pechino cominciava la sua conquista dell’Africa stabilendo come obiettivo principale il finanziamento dei Paesi africani che avevano carenza di infrastrutture primarie, come strade, ponti, scali portuali.

Per rafforzare il soft power la Cina ha investito anche risorse considerevoli sui nuovi media per aumentare l’appeal e la credibilità del suo impegno rivolto all’estero, spiegando bene le caratteristiche della storia e delle tradizioni cinesi.

Il miglioramento dei rapporti lo si è visto in tutti i campi: aumento degli investimenti cinesi in Africa per opere infrastrutturali, scambi culturali tra studenti, eliminazione dei debiti africani, assistenza scientifica e tecnologica cinese, l’insegnamento della lingua cinese all’interno dell’offerta formativa delle scuole africana. La teoria alla base della strategia di soft power è la dottrina delle relazioni win-win, ossia il fatto che i Cinesi abbiano instaurato con l’Africa delle relazioni tra vincitori, e non tra vincitore e vinto come è avvenuto nei secoli con il mondo occidentale. Analogo atteggiamento la Cina ha avuto in Centro e Sud America.

In Africa la Cina si è mossa da un approccio ideologico a uno più pratico, economico e politico, con lo scopo di favorire un ordine globale che supportasse la sua crescita economica e la stabilità interna dei Paesi, sintomo evidente di un cambiamento culturale dell’élite cinese nella gestione dello Stato, che dal tradizionale modello confuciano (l’armonia sociale deriva da un processo top-down) ha riscoperto il taoismo (condivisione di obiettivi e strategie, e coesione tra le componenti della società).

E oggi, in piena Pandemia Coronavirus, complice l’allontanamento sempre più evidente degli USA dal Vecchio Continente, il nuovo Lievatano impone il suo soft power all’Europa scegliendo l’Italia come link di ingresso.

Se il porto e la città di Trieste, dopo il recente accordo tra il gruppo cinese China Communication Construction Company e il porto giuliano, sono state le chiavi per comprendere come si sta muovendo la Cina per realizzare in Europa la Nuova Via della Seta (l’Italia è stato il primo e unico Paese europeo a siglare con Pechino un Memorandum of Understanding), l’aiuto di Pechino all’Italia per replicare il “modello Wuhan” contro il Covid-19 ha una evidente finalità reputazionale di soft power.

L’Italia, insomma, costituisce il test perfetto per comunicare all’Occidente la forza della Cina, favorita dal disimpegno Usa e dagli egoismi degli Stati europei. L’Unione Europea, infatti, stanzierà 25 miliardi di euro per l’emergenza Coronavirus, come ha annunciato ieri in italiano la Presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen.

Sebbene 25 miliardi sia una somma insufficiente vista la dimensione della crisi economica che seguirà a quella sanitaria, si tratta di un ottimo punto di partenza da apprezzare e sviluppare. Secondo quanto dichiarato dalla presidente Von der Leyen una buona parte del soccorso europeo interesserà soprattutto il sistema sanitario nazionale e le imprese italiane, affiancato da un sistema di deroghe sulla normativa degli aiuti di Stato, che tanto ha fatto soffrire le imprese ed il sistema bancario italiano (vedasi il caso Tercas).

Dal punto di vista finanziario l’Unione europea produce risposte. Lo stesso non si può dire sul lato della solidarietà. In piena crisi da Covid-19 l’Italia ha richiesto l’attivazione del sistema unionale di protezione civile per la fornitura delle mascherine di protezione, ma la risposta di vari Stati europei è stata quella di bloccare l’export (Germania, Francia e Repubblica Ceca) lasciando un popolo “fratello”, tra i fondatori dell’Europa, al proprio destino.

L’egoismo dei singoli Stati mette in luce quanto il cammino dell’integrazione europea sia ancora lungo e tortuoso. Gli Stati membri, lasciando l’Italia da sola, hanno provocato un grande danno di immagine all’Unione europea perché hanno lasciato campo libero alla Cina, che con la fornitura delle mascherine e dei ventilatori (profumatamente pagata dall’Italia) finisce per passare per la salvatrice di turno.

Se la durissima crisi economica che ci aspetta avrà come conseguenza quella di frantumare gli egoismi nazionali in nome dell’Unione europea, allora ne sarà valsa la pena. Diversamente i fatti si incaricheranno di dimostrare che nessuno si salva da solo.



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