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Covid-19. Gli errori di Londra e Parigi (senza il picco)

Come stanno affrontando Londra e Parigi la gestione del coronavirus anche in considerazione dello scenario già verificatosi in Italia? Stanno prendendo la Lombardia come paradigma oppure no? Dalle prime avvisaglie le due cancellerie hanno intenzione di mettere in campo due strategie diverse e con un elevato tasso di rischio. Ecco quali.

LONDRA

Mentre in altri Paesi dell’Ue si chiudono scuole e università e si annullano eventi caratterizzati dall’assembramento, il Primo ministro inglese Boris Johnson sceglie una risposta di basso profilo, nonostante nel Paese i casi aumentino con un trend di crescita preciso. Niente stop allo sport insomma. Ieri Downing Street ha annunciato generiche nuove misure, tra cui chiedere alle persone con tosse o febbre di rimanere a casa, ma alcuni sostengono che non sia affatto sufficiente. Spagna, Grecia e Irlanda stanno seguendo il modello italiano, mentre Francia, Germania e Scozia hanno bandito gli incontri con più di 500 persone.

PRIMA L’ECONOMIA?

Londra invece, come sostengono alcuni, pare voglia mettere l’economia davanti alle esigenze sanitarie e potrebbe essere stata tentata di seguire la tesi di una nuova generazione di scienziati tarata sulla cosiddetta immunità di gregge. Non fermare la diffusione auspicando che la risposta possa essere data da un contagio generale. Altri sostengono che l’Inghilterra potrebbe scegliere di rallentare il più possibile la diffusione del virus, così da “spalmare” l’epidemia su un periodo il più lungo possibile.

“La Gran Bretagna è passata dalla fase di contenimento del coronavirus alla fase in cui cerchiamo di ritardare la diffusione del Covid-19”, ha detto pubblicamente Johnson affiancato dal professor Chris Whitty, chief Medical Adviser, ovvero l’esperto responsabile per la salute pubblica. Quel che è certo è che manca chiarezza su strategia e gestione di questi primi casi, quando i morti sono saliti a 10 e i contagi a 600.

PARIGI

L’Eliseo ha deciso una misura che sembra essere un controsenso: vuole infatti chiudere scuole e università, ma intende far comunque celebrare le elezioni amministrative il prossimo fine settimana. Un altro errore, secondo quanti guardano a ciò che è accaduto in Italia, perché in quel modo si rischia di fare un assist alla diffusione del virus proprio in concomitanza dell’assembramento rappresentato dalle urne. Macron ha annunciato ieri sera la chiusura fino a nuovo ordine di tutte le scuole dal prossimo lunedì, ma rifiuta di far affondare l’economia e chiede una “mobilitazione generale” per aiutare i più vulnerabili.

“La salute non ha prezzo”, ha detto il presidente nel suo discorso alla nazione ma intanto i contagiati sfiorano i 3000 e i morti sono 61. Alle imprese promette il rinvio o addirittura l’annullamento di tutte le scadenze fiscali e contributive, nell’ambito di un piano di risanamento nazionale ed europeo ma al contempo critica fortemente le misure annunciate dalla Bce bollandole come “non sufficienti”.

VOTO E CONTAGIO?

Il punto però restano le elezioni amministrative, su cui molti commentatori si stanno concentrando al fine di trovare una soluzione per spostarle, quantomeno, di alcune settimane. Macron ha invece annunciato che le elezioni, in programma domenica 15 e 22 marzo, si terranno ugualmente in nome della “continuità democratica “.

Ma la questione del rinvio è stata oggetto numerosi dibattiti fra tutti i partiti politici e i presidenti dell’Assemblea nazionale e del Senato, Richard Ferrand e Gérard Larcher. Macron però ha scelto di puntare il dito sulla cosiddetta “lebbra populista” un virus che “non ha il passaporto” . Poi aggiunge di non escludere a priori la chiusura delle frontiere, ma solo se deciso “su scala europea”.

twitter@FDepalo

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