Il lavoro, le aziende, i rapporti datore-dipendente, stanno cambiando oggi per cause di forza maggiore. Il che non è necessariamente una cattiva notizia: il virus fa paura, è vero, ma forse rappresenta una grande opportunità per un Paese sempre un passo indietro agli altri quando si parla di innovazione e conquiste, come lo smart working. La vede così Domenico De Masi, sociologo e grande esperto di mercato del lavoro, nelle librerie con Lo Stato necessario (Rizzoli). Mentre prendiamo atto di questa trasformazione però, c’è da compiere un piccolo esercizio quotidiano: fidarsi di Giuseppe Conte.
De Masi, l’Italia sta scoprendo lo smart working. Ci voleva il coronavirus?
Guardi io un documento che annuncia la possibilità di introdurre il telelavoro, datato 1969. Capisce? 1969. Per non parlare di un mio libro, del 1993 che contiene delle ricerche sul telelavoro, invitando le aziende a interessarsi a questo opportunità. Io davo per scontato che questa rivoluzione si diffondesse in Italia alla velocità della luce e invece oggi solo mezzo milione di persone lavora così. Ora, questa emergenza, ci ha riportato alla mente quello che dovevamo fare molto tempo fa.
Siamo terribilmente indietro…
Sì, e a dirla tutta non ho tanta fiducia sul fatto che le nostre aziende riescano a far tesoro di tutto questo. Sono indietro rispetto alle aziende degli altri Paesi, che sono più preparate e formate delle nostre. Però se le cose stanno così allora è anche vero che il coronavirus rappresenta una grande opportunità di cambiamento, dobbiamo coglierla. Dobbiamo fare oggi, in fretta, quello che avremmo dovuto fare con calma negli anni passati. Meglio tardi che mai, purché si cambi davvero. E sono sicuro che un cambiamento ci sarà, non so di quale entità, ma ci sarà.
Se avessimo avuto già forme di telelavoro diffuse nel nostro sistema di imprese, il virus si sarebbe potuto contenere?
Altroché. Non c’è dubbio. E poi avremmo aumentato del 20% la produttività del Paese e ridotto lo spreco di soldi che migliaia di lavoratori devono sopportare per spostarsi da una parte all’altra, oltre che il denaro speso per le baby sitter. Avremmo aumentato la qualità della vita, ottenendo anche benefici ambientali, meno traffico per strada e le aziende avrebbero risparmiato spazi e servizi e ridotto la conflittualità tra dipendenti. I vantaggi sono immensi, ma abbiamo bisogno delle pestilenze per capirlo.
Scusi, ma se il telelavoro conviene così tanto, perché siamo ancora all’età della pietra?
Perché tra capo e dipendente c’è un rapporto patologico. Il capo non vuole solo il lavoro, il prodotto, ma pretende una vicinanza fisica. Io la chiamo la sindrome di Clinton. L’ex presidente Usa non avrebbe mai fatto fare il lavoro a distanza alla sua stagista (Monica Lewinsky, ndr), il motivo lo conosciamo. Il telelavoro ha questo vantaggio: si lavora sul prodotto, non sulla presenza. Non importa dove il prodotto venga fatto.
Il coronavirus cambierà il modo di lavorare in Italia? Avremo un mercato più smart e moderno?
Sicuramente dei cambiamenti ci saranno, in molti stanno sperimentando il telelavoro, anche se lo stanno facendo più per necessità che per convincimento personale. E forse stanno capendo che è la soluzione migliore, che garantisce un buon prodotto a prescindere dalla presenza. Il cambiamento ci sarà, anzi già c’è: in questo momento ci sono 3-400 milioni di persone al mondo che stanno lavorando da casa. Questa cifra non sarebbe mai stata possibile senza la paura di un’epidemia. Non tutte le disgrazie vengono per nuocere.
De Masi, il governo ha messo in campo delle misure per aiutare le famiglie che non possono mandare a scuola i figli ma devono lavorare. La convincono?
Fa bene il governo a provarle tutte, questa è una situazione nuova, che nessuno ha mai sperimentato. Dobbiamo provarle tutte e vedere cosa funziona e cosa no. Una cosa è sicura. Dobbiamo fidarci.
Fidarci… ma di chi?
Di Conte. Non abbiamo altra scelta, dobbiamo fidarci di lui. E poi intorno al premier c’è una folta equipe di specialisti e virologi, la migliore d’Italia. Gli altri politici, che parlano, sono incompetenti. Per carità possono sbagliare pure loro, ma certamente hanno meno possibilità. Scusi sa, ma io ogni volta che prendo un aereo non so chi c’è in cabina, se il pilota è bravo o no. Però mi fido. E allora perché non dovrei fidarmi di Conte e dei suoi specialisti?