Skip to main content

La maledizione del debito e il sismografo dello spread. L’analisi di Giacalone

La Federal reserve taglia notevolmente i tassi, allineandosi alla Banca centrale europea, e promette iniezioni di liquidità per reggere l’apertura di Borsa. Che invece scende. Vedremo poi, ma la prima risposta è in linea con le altre Borse, in giro per il mondo. La ragione c’è: si va verso la recessione. Anche le asimmetrie temporali nei contagi spingono in quella direzione: prima rallenta la produzione da una parte, poi, quando prova a riprendersi, rallenta dall’altra assieme ai consumi di quegli stessi prodotti. A questo ci si deve preparare, il che indica la necessità di spesa pubblica. Ma meglio intendersi.

Non discuto le misure specifiche adottate dal governo italiano. Non è questo il momento. Comunque ragionevoli. Ma vorrei non si dimentichi che in quello stesso decreto è contenuta l’autorizzazione a emettere debito per l’eguale ammontare della spesa prevista: 25 miliardi. È necessario, prima di tutto in quel che serve alla sanità, ma il fatto che lo sia non significa non abbia un costo. Che oggi è basso, perché siamo in area protetta da moneta e banca centrale comuni. Quando s’affaccia una recessione il debito cresce, per contrastarla. Quando passa deve scendere. In Italia non lo abbiamo fatto, così consegnandoci al debito più alto e la crescita più bassa. Una maledizione, che oggi diventa velenosa, con il sismografo dello spread che lo segnala. Vedo che taluno spera di ovviare piagnucolando e facendo la vittima, ma è puerile.

Tassi bassi e liquidità aggiuntiva decisa (3 mila miliardi, da sommare ai 150 destinati all’acquisto di titoli) servono. Ma non bastano. C’è l’emergenza che giustifica la spesa e la crescita del debito, però ci sarà il dopo e una ripresa da attivare con investimenti pubblici. Sarebbe la stagione ideale, anche presso le opinioni pubbliche, per far nascere un debito europeo per investimenti europei. Non dimentichiamo che la nostra condotta del passato è un ostacolo esattamente al pari delle chiusure (giustamente) rimproverate ad altri, Germania in testa.

Da qui si riparte, senza insipidi appelli al volemose bene. Semmai: famose del bene. Il tempo della clausura sia quello della riscrittura delle nostre regole interne, finiamola con le scuse (il ministro della funzione pubblica che attribuisce la non digitalizzazione dei servizi pubblici alla mancanza di larga banda non sa di che parla: il commercio on line fiorisce ovunque, i certificati no).
Rispetto all’era Draghi c’è stato un ribaltamento: la perizia tecnica e la lungimiranza portarono la Bce a sopperire alle deficienze della politica; ora è stata la politica, la Commissione europea, a dovere rimediare all’ottusa imperizia dei nuovi vertici Bce. Un guaio? Quello immediato sì, ma per il resto un bene.

Questa difficile stagione serva a lasciarsi alle spalle quel che ci bloccava, che se si cerca di salvarlo e proiettarlo nel futuro, finanziando la non produzione a debito, è segno che neanche nell’emergenza riesce a emergere la serietà. Voglio essere sicuro del contrario.



×

Iscriviti alla newsletter