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Defender Europe, perché la missione della Nato non è una invasione americana

Per il momento, il coronavirus non spaventa il più grande dispiegamento di truppe americane in Europa dalla fine della Guerra fredda. L’esercitazione Defender Europe 20 è già iniziata con i primi soldati Usa arrivati nel Vecchio continente, mentre il grosso partirà ad aprile, con i vertici pronti comunque a rimodulazioni e modifiche. Teorie del complotto e dell’invasione a stelle e strisce proprio non reggono; le manovre (pianificate da anni) servono a consolidare l’Alleanza e ad aumentare la difesa europea, facendo pressione rispetto all’assertività della Russia e testando la capacità infrastrutturale di un’Unione europea che sul tema rischia di perdere risorse nei complessi negoziati sul prossimo budget pluriennale.

DEFENDER EUROPE

La maxi esercitazione coinvolge 37 mila soldati di 18 Paesi, soprattutto tra Germania, Polonia e Repubbliche baltiche per testare le capacità di deterrenza e dispiegamento massiccio. Si svolgeranno più esercitazioni, tra cui spicca la simulazione della risposta rapida a un’aggressione armata subita da Lettonia e Lituania, in uno scenario che (nonostante tutte le rassicurazioni pubbliche) rappresenta di per sé una risposta all’Orso russo. Per tutto questo, stanno arrivando in Europa 20 mila soldati americani direttamente dagli Stati Uniti, da aggiungersi ai 10 mila già presenti che saranno coinvolti nelle operazioni. Per gli Usa di tratta del più grande dispiegamento di forze nel Vecchio continente da almeno 25 anni, condito da oltre 13 mila mezzi tra veicoli corazzati, aerei, navi e sottomarini.

UN EFFETTO CORONAVIRUS?

Il coronavirus non sembra mettere in pericolo l’esercitazione, sebbene i vertici non escludano possibili rimodulazione in corso d’opera, evento comunque importante per operazioni che puntano a testare reattività delle forze in campo e capacità di dispiegare grandi quantità di uomini e mezzi. Il comando europeo dello Us Army, che coordina i movimenti americani, “sta monitorando da vicino Covid-19 e sta lavorando diligentemente con i funzionari delle nazioni ospitanti mentre prosegue l’esecuzione di Defender Europe 20”, si legge sul sito ufficiale. “Per ora – si aggiunge – il virus non ha influito sull’esecuzione dell’esercitazione”, mentre è “costante” il confronto con le autorità sanitarie dei vari Paesi su cui le truppe si stanno muovendo. “Abbiamo piani di assistenza sanitaria e medica per identificare eventuali carenze che potremmo avere e stiamo affrontando tali carenze e requisiti con ogni singola nazione ospitante”, ha rimarcato il numero due dello US Army in Europa Andrew Rohling.

LA LINEA DI STOLTENBERG E IL CASO A BRUXELLES

La linea è quella descritta dal segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, che la scorsa settimana a Zagabria ha incontrato i ministri della Difesa dell’Unione europea. “Stiamo certamente monitorando e seguendo la situazione molto attentamente perché potrebbe avere conseguenze anche per la Nato”, ha spiegato. Al momento, aggiungeva, “nessuna cancellazione per le esercitazioni, ma ciò sarà valutato man mano che la situazione evolve”. L’Alleanza, ha rimarcato, può garantire la continuità delle sue operazioni. Parole importanti anche alla luce della conferma, ieri, della positività al Coronavirus riscontrata in un membro dello staff del quartier generale di Bruxelles, di ritorno la scorsa settimana “da una vacanze in nord Italia” e ora in isolamento domiciliare. “La Nato – spiega una nota ufficiale – ha messo in atto misure solide e piani di continuità operativa, garantendo così che il lavoro essenziale continui”.

LA MOBILITÀ MILITARE

Per Defender Europe, c’è da a notare che le parole di Stoltenberg sono arrivate durante un vertice dei ministri della Difesa dell’Unione europea. È ormai tradizione per il segretario generale della Nato parteciparvi, proprio come l’Alto rappresentante Ue partecipa alle ministeriali dell’Alleanza Atlantica. All’incontro di Zagabria la presenza di Stoltenberg era però ancora più rilevante. L’esercitazione Defender Europe vuole d’altra parte testare non solo le truppe, ma anche le infrastrutture. Per dispiegamenti rapidi e massicci servono strade, ferrovie, ponti, porti e aeroporti in grado di ospitare e far transitare mezzi impegnativi. È la “mobilità militare”, uno dei temi centrali del dialogo degli ultimi anni tra Ue e Nato, soprattutto da quando il Vecchio continente ha riscoperto la propria vocazione a una Difesa comune. Proprio il coordinamento con l’Alleanza Atlantica ha convinto Bruxelles a elaborare la Connecting Europe facility, il meccanismo per collegare l’Europa.

IL DIBATTITO SUL BUDGET

Peccato che il programma sia finito nel tritacarne del negoziato (“il più difficile di sempre”) tra Stati membri dell’Ue sul prossimo quadro finanziario pluriennale 2021-2027, rischiando di vedere pressoché azzerate le risorse previste. Nella proposta rilasciata a giungo 2018, la Commissione prevedeva di destinarvi 6,5 miliardi di euro per i prossimi sette anni. Dopo un primo round negoziale, coordinato dalla presidenza di turno finlandese del Consiglio dell’Ue, sono scesi a 2,5 (diminuzione anche per gli altri strumenti pensati per la Difesa comune). Poi, la proposta sul bilancio è finita sul tavolo del presidente Charles Michel, che ha ritoccato i numeri complessivi portando la mobilità militare a 1,5 miliardi. Qualche giorno dopo, al Consiglio europeo di Bruxelles sono spariti anche questi, con un azzeramento totale nel “non paper” che la Commissione ha presentato in extremis ai capi di Stato e di governo nel tentativo di trovare un accordo. Ora si attendono i nuovi negoziati, mentre Defender Europe va avanti, quasi a testimoniare la richiesta Nato di incrementare come previsto la mobilità militare.

(Foto: US Army)


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