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Gli italiani nel pallone. Cosa dice di noi il coronavirus

Per il maestro giornalista Gianni Brera “il calcio è la metafora della vita”. Osservando l’interpretazione che in un Paese si dà del calcio (giocato, commentato, tifato, ignorato) dovremmo essere in grado di comprenderne la cultura, cioè consuetudini, costumi, e valori che caratterizzano la nostra convivenza. Il calcio in Italia riflette la nostra cultura, il modo in cui conviviamo, appunto.

Perciò, non c’è da stupirsi per come stiamo affrontando la diffusione del virus Covid-19. Esattamente come viviamo il gioco del pallone: emotivamente e senza un approccio sperimentale.

PERCHÉ È IMPORTANTE?

La diffusione violenta di virus minacciosi per la salute dei cittadini, come il Ccoronavirus, seppure improbabile e rara, non deve essere inaspettata. Così per i terremoti, per gli incidenti infrastrutturali, per attacchi militari o terroristici.

PREDIZIONE, SCENARI E INTELLIGENCE

È normale predire che potranno verificarsi pandemie. Non è successo così per il Covid-19. Non esistono analisi di scenario che ipotizzano diverse possibili situazioni in caso di diffusione di un virus, come il coronavirus, o di un attacco chimico. Eppure, lo Stato si forma per migliorare e garantire la convivenza tra individui. Tra i suoi compiti vi è quindi, la tutela della libertà dei cittadini, tra cui, anche, la loro sicurezza. Per farlo un Paese si dota di un intelligence, di un dipartimento che raccoglie informazioni ed elabora possibili scenari, indicando potenziali reazioni per proteggere gli interessi dei propri cittadini.

RAGIONE VS EMOTIVITÀ

L’Italia è sprovvista di questo strumento di informazione e programmazione che ci aiuterebbe a reagire più razionalmente ad eventuali pandemie o crisi di ogni genere. Da noi prevale l’emotività, esattamente come nel calcio. La diffusione del virus è un fatto spiacevole che da noi è stata drammatizzata e vissuta in modo isterico lasciando che le nostre emozioni prendessero il sopravvento rispetto ad un piano di contingenza che di fatto, non esiste.

La rarità degli incidenti ci inducono superficialmente a ritenere che non possano verificarsi e che quindi qualsiasi cautela per prevenire il rischio – anche quello rarissimo – non sia necessaria. Si spiega così, la drammatica leggerezza che fa pensare impossibile morire sul lavoro o avere incidenti stradali. Lo stesso vale per le infrastrutture che, collassano anche negli altri Paesi, ma da noi lo fanno per la superficialità con cui sono costruite e manutenute. Ci abbandoniamo al destino, nella convinzione che non possa succedere proprio a noi. È un’illusione che ci consente di crogiolarci in noi stessi, denigrandoci o esaltandoci all’ennesima potenza attraverso le forme evocative di cui la lingua – altro strumento culturale – ci ha dotato.

L’IDEOLOGIA

Questa è una certezza culturale che affonda le sue radici nell’idea religiosa ed ideologica per cui tutto risponda ad un’idea fissa delle cose che non muta al passare del tempo. Non siamo infatti, una democrazia liberale compiuta che si fonda soprattutto, sulla responsabilità dell’individuo nel promuovere le libertà soggettive ma anche nell’assicurare la tutela di quelle oggettive attraverso il governo della legge, e quindi lo Stato, rispetto al dover affrontare il passar del tempo e il probabilismo nelle cose del vivere.

COSA C’ENTRA IL LIBERALISMO?

In quanto metodo attento ai cambiamenti ci avrebbe consentito di essere pronti nell’evenienza di una pandemia qualsiasi, non necessariamente questa, ma anche a questa del Coronavirus, con una serie di possibili scenari e di scelte da prendere. Non significa che avremmo trovato la soluzione perfetta, ma certamente avremmo compiuto scelte ragionate.

Responsabilità maggiore va certamente attribuita alle burocrazie dello Stato che rispetto ad altri Paesi non contemplano questa forma di attività. Uguale responsabilità va data ai media per come enfatizzano l’emotività di noi cittadini. Esattamente come gli stessi media raccontano oggi le cronache delle partite.

(Articolo pubblicato su Competere.eu)



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