Dall’emergenza Coronavirus potrebbe nascere una nuova governance europea dotata di poteri forti anche grazie ad una Commissione rinnovata, nella forma e nell’azione? È lo scenario che disegna l’editorialista di Repubblica Stefano Folli, che ragiona su Formiche.net sulla figura di Mario Draghi, potenziale nuova guida politica non tanto dell’Italia (dove “è fuori dalla realtà che un governo così debole e contraddittorio pensasse di fare a meno del Parlamento”), ma di una Ue che per non ritrovarsi frantumata dalla crisi sanitaria deve imporsi un cambio di passo.
“Per rinascere ci è richiesta la stessa unità del dopoguerra” ha detto il Capo dello Stato. Al momento c’è?
Non direi. Se il richiamo è a quel periodo, non lunghissimo, in cui tutti furono concordi nell’uscire dalla fase della guerra civile e gettare le basi della ricostruzione, mi pare siamo lontani da tutto ciò. Giusto il richiamo, perché è stato morale prima ancora che politico a tutte le forze in quanto si facciano carico di questa situazione. Ma non mi sembra sia il richiamo ad una formula politica.
L’Europa rischia tutto. Ascolterà Bruxelles la proposta che Draghi ha lanciato dalle colonne del FT?
Ce lo auguriamo tutti. Draghi è una delle figure più alte che l’Europa può mettere in campo oggi. Chi altri ha la sua stessa autorevolezza per parlare a tutta la Ue? Infatti trovo che sia sbagliata e riduttiva la lettura di chi dice che Draghi ha fatto quell’intervista pensando all’Italia: l’ha fatta invece pensando all’Europa, perché ha i titoli per farlo.
Lo ascolteranno?
Non so dirlo, so che c’è una profonda crisi di leadership e una mancanza di chiarezza sul dove andare in Ue. Quindi è necessario che qualcuno faccia un richiamo forte alla realtà. Abbiamo una Commissione Ue abbastanza debole, una Germania in cui la Cancelliera è più debole rispetto ad alcuni anni fa, quindi viene meno un elemento di forte leadership in Ue. In più c’è una Bce che tutti dicono essere oggi ben diversa da quella guidata da Draghi e molte buone intenzioni, anche se confuse. Il rischio gravissimo è che se non si passerà dalle parole ai fatti l’Europa potrebbe disgregarsi questa volta.
Come potrebbe l’Europa ascoltare l’input di Draghi essendo venuto meno il suo ruolo attivo nella Bce? I suoi richiami potrebbero restare lettera morta per una volontà precisa?
Non sarebbe la prima volta nella storia. Draghi ha una funzione morale, non ha un incarico ma sappiamo anche che nelle situazioni di crisi contano le parole di chi è dotato di quella autorità morale per fare quel dato richiamo. L’Europa è dinanzi ad una serie di passaggi molto delicati richiamati dall’ex Presidente della Bce. Dovremmo essere consapevoli che il rischio di una frantumazione dell’Europa è altissimo, ciò spiega anche l’inusualità e la drammaticità delle parole di Draghi. Poi volendo speculare, per adesso sul nulla, potremmo pensare ad una prospettiva molto più ampia.
Ovvero?
Ci potrebbe anche essere un incarico politico, in prospettiva, all’interno di questa Europa. Penso che se si volesse, in un futuro che ora non so prevedere, avere una Commissione forte e dotata di poteri esecutivi molto più solidi di quelli attuali, allora Draghi potrebbe potenzialmente essere un eccellente Presidente di una Commissione europea rivitalizzata e trasformata davvero in un governo europeo. Ma tutto dipende da come usciremo da questa crisi.
Nel frattempo il tenore del dibattito parlamentare in Italia sul virus ha nulla il comune con la dottrina Draghi per l’eurozona, quella cristallizzata nell’espressione Whatever it takes?
No, ma è importante che ci sia stato. L’idea che il Parlamento fosse sospeso, aperto ma di fatto chiuso, è una cosa insopportabile. Che il come affrontare le prossime scadenza sia passato da Camera e Senato lo considero un fatto positivo. Abbiamo però la classe politica che abbiamo: un governo molto debole, non c’è dubbio, fino a poco tempo fa nemmeno pienamente consapevole della gravita di ciò che stava succedendo. È fuori dalla realtà che un governo così debole e contraddittorio pensasse di fare a meno del Parlamento. Per ora accontentiamoci di questo, poi la qualità del dibattito la valuteremo nei prossimi passaggi.
Un esponente storico della Prima Repubblica, come Cirino Pomicino oggi sul Foglio, chiede una grande alleanza che deve nascere per preparare l’Italia del dopo virus. Che ne pensa?
Sul piano delle idee ha ragione: sarebbe magnifico che ci fosse un governo di unità nazionale, votato intanto a superare l’emergenza e poi alla ricostruzione del Paese. Il probema è calare tutto ciò nella realtà del confronto politico: non mi sembra che da parte del centrosinistra vi sia la volontà, a destra a tratti c’è visto che hanno parlato di gabinetto di guerra ma bisognerà vedere in concreto come arrivarci al di là della polemica politica. Giusto l’auspicio politico-culturale, ma mancano le premesse per giungere a tale sbocco. Ma viviamo in una situazione che muta non di giorno in giorno, ma addirittura di ora in ora. Può darsi che ciò che oggi è irrealistico, diventi plausibile tra un mese o due.
Hanno in comune, due leader come Draghi e De Gasperi, la similitudine con la fase post conflitto (ieri guerra, oggi virus)?
Non credo. Le cornici sono diverse. Draghi non ha fatto solo un discorso da banchiere centrale, ma con un risvolto politico, più rivolto all’Europa che all’Italia.
Palazzo Chigi, per l’emergenza Covid, e poi Quirinale? Questa la possibile via di Draghi?
Mi sorprenderebbe che non si facessero tali ipotesi in un momento come questo e in presenza di un governo così debole, anche perché si tratta di uno scenario che è nell’aria. Ciò non implica però che sia vicino o realistico. Al momento mancano le condizioni per far indirizzare la situazione in questo senso. Non credo che Draghi pensi a Palazzo Chigi in questa fase, ma la situazione potrebbe cambiare nel giro di qualche mese e a quel punto altre ipotesi che non siamo in grado di fare potrebbero essere prese in considerazione, al pari di scelte che fino ad oggi sono state tenute da parte.