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Droni che agganciano satelliti. Ecco la geopolitica dello spazio

La Northrop Grumman, una delle principali aziende aerospaziali fornitrici del Pentagono, ha lanciato nello Spazio un drone automatico (Mev, Mission extension vehicle) che, per la prima volta nella storia, ha agganciato un satellite commerciale americano, Intelsat 901, che da 19 anni era in orbita geostazionaria e stava esaurendo il propellente di bordo.

Grazie al Mev, Intelsat (grande società privata di servizi satellitari che annovera il Pentagono tra i suoi più importanti clienti) potrà utilizzare il proprio satellite per altri cinque anni. “Il nostro drone è in grado di fornire un servizio innovativo di estensione della vita satellitare”, ha dichiarato il presidente della Northrop Grumman. “Insieme a Intelsat – ha aggiunto – abbiamo compiuto il primo storico passo nell’era pioneristica dei servizi logistici nello Spazio per clienti commerciali e governativi”. Ma la valenza commerciale del drone spaziale americano, sottolineata da tutti i media, è in realtà secondaria.

Infatti, pochi giorni dopo la missione riuscita del Mev, la Darpa (agenzia Usa che si occupa dei progetti di ricerca avanzati nel campo della Difesa) ha selezionato la Northrop Grumman per il programma “Robotic Servicing of Geosynchronous Satellites”. Ha l’obiettivo di realizzare un’intera flotta di droni al servizio del Pentagono ed esplicita l’aspetto strategico dei nuovi veicoli spaziali. I droni che agganciano i satelliti in orbita non sono solo sistemi di supporto o di rifornimento, ma anche sofisticati e innovativi mezzi di attacco nello Spazio in grado di rimuovere fisicamente i satelliti nemici dalla loro posizione orbitale. E la scelta americana di provare per la prima volta un aggancio automatico di questo tipo sul satellite Intelsat 901 è stata tutta politica, dato che proprio quest’ultimo nel 2015 fu avvicinato e spiato da un misterioso satellite russo, denominato “Luch”, che gli stazionò accanto per molte settimane nonostante le forti proteste di Washington.

Il significato politico di questa coincidenza è quindi chiaro: gli Stati Uniti dimostrano al mondo di poter operare nello Spazio, soprattutto nella strategica orbita geostazionaria, meglio dei russi e dei cinesi grazie al loro nuovo drone orbitale.

Abbiamo quindi assistito a un’azione di deterrenza spaziale con un messaggio, nemmeno troppo subliminale, ben rivolto a chi ne doveva comprendere i risvolti. E considerando che nel 2018 il russo “Luch” spiò anche il satellite militare franco-italiano Athena-Fidus (l’episodio fu rivelato pubblicamente dal ministro della Difesa francese Florence Parly) possiamo dire che gli Stati Uniti hanno dato una dimostrazione di forza spaziale anche a tutti loro alleati europei, Italia inclusa.

Probabilmente, sistemi spaziali innovativi come il Mev, sono in Europa nell’agenda della sola agenzia spaziale francese non certo dell’Esa e dell’Ue. Eppure, la consapevolezza di una tale carenza strategica dovrebbe portare i nostri decisori politici a ponderare bene quali alleanze industriali perseguire a livello internazionale.

Nel nostro Paese, il sottosegretario alla Difesa e il capo di Stato maggiore dell’Aeronautica hanno annunciato come il nuovo Ufficio generale Spazio dello Stato maggiore della Difesa stia gettando le basi per costituire un Comando spaziale quale primo passo per seguire il tracciato dello Space Command di Donald Trump e del Commandement de l’Espace di Emmanuel Macron, entrambi già operativi. Si tratta di un segnale molto importante cui dovrebbero seguire delle coerenti politiche industriali nell’aerospazio guidate da una governance politica in grado di indirizzare, nel contesto nazionale e internazionale, i suddetti sviluppi su concreti e perseguibili progetti e programmi strategici per il nostro Paese.


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