Recep Tayyip Erdogan ha fretta. Sono passate appena 48 ore dalla sua visita a Bruxelles, dove ha incontrato il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, e il presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen.
In un discorso pubblico, il capo di Stato di Ankara è tornato ad attaccare la Grecia, ancora troppo spesso considerata l’anello debole dell’Unione europea, paragonando i pur deplorevoli metodi della polizia ellenica di respingere i migranti a quelli dei nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale. Non è la prima volta che Erdogan mette in relazione i comportamenti dei singoli Paesi della Ue alla Germania nazista ed è un paragone molto pericoloso, oltre che storicamente scorretto e insostenibile. Con la strategia di comunicazione eversiva che lo caratterizza da anni, il presidente cerca di trasformare quello che è un dramma umanitario, che lui contribuisce a perpetuare, a un respingimento su base religiosa. In questo contesto, a una posta particolarmente alta e difficilmente accettabile in toto, corrisponde il messaggio eversivo e scorretto di una Europa islamofoba, con ricadute negative sia sulle comunità musulmane presenti nel Vecchio Continente, sia all’estero.
Le richieste turche per modificare l’accordo sui migranti stipulato nel 2016 sono molto pesanti. Il leader islamico ha chiesto non solo un cospicuo aiuto finanziario, ma anche la liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi e la revisione dell’accordo doganale. Quest’ultimo punto, in particolare, significherebbe riconoscere la Repubblica turca di Cipro Nord, occupata dal 1974 dalle armate turche a scapito della parte greca dell’isola e fino a oggi riconosciuta solo dalla Turchia.
Si tratta, come si può capire di condizioni pesantissime e che Erdogan vuole approvate nel minor tempo possibile. Il presidente turco fino a questo momento non ha ottenuto molto né da Bruxelles né soprattutto da Mosca.
Con il Cremlino sta tornando alla carica, dicendo che il sempre più fragile cessate il fuoco fra truppe turche e truppe di Assad è stato violato e chiedendo una riunione di urgenza fra le delegazioni dei rispettivi ministri della Difesa. Un inasprimento del fronte siriano, giustificherebbe, almeno ufficialmente, la fretta con la quale Erdogan sta battendo i pugni sul tavolo.
Ma c’è un altro aspetto che spiega la foga con cui Erdogan sta cercando di ottenere il massimo da Bruxelles. Nonostante le rassicurazioni e l’ottimismo del ministro delle Finanze, Berat Albayrak, genero di Erdogan, l’economia turca non sta passando da mesi un buon periodo e potrebbe essere uno dei Paesi a patire maggiormente la crisi economica che inevitabilmente sta provocando l’epidemia di coronavirus. Cina, Germania, Italia sono fra i principali partner commerciali della Mezzaluna. A questo, va aggiunto il commercio con alcuni Paesi confinanti chiave, Iran e Iraq per citarne due che risentiranno in modo pesante della situazione.
Una strategia, quella di Erdogan, dettata dalle circostanze e dalla necessità di mantenere un consenso interno che potrebbe essere messo a rischio da una sommatoria di fattori. Vladimir Putin lo ha capito e tiene una spada di Damocle pendente sulla sua testa. L’Europa, ancora, non si è capito.