Ci aveva visto giusto, Eurasia Group. Lo scorso dicembre, come ogni anno, la famosa società di consulenza strategica fondata e presieduta dal politologo americano Ian Bremmer aveva pubblicato il report con i Top-Ten Risks del 2020. Tre mesi fa, non poteva sapere che di lì a poco sarebbe scoppiata una pandemia globale che avrebbe ridisegnato l’intero assetto internazionale. Ma, a ben vedere, l’emergenza Covid-19 non smentisce una sola delle già non rosee previsioni elencate da Eurasia. Le conferma, raddoppiandone portata e impatto. La prova più evidente si trova rileggendo la premessa del vecchio report, che descriveva una “globalizzazione sotto attacco”. “Avevamo più ragione di quanto pensassimo” scrivono ora Bremmer e il direttore esecutivo Cliff Kupchan.
TERREMOTO USA
Il primo fronte si trova negli Stati Uniti. La società di Bremmer aveva preannunciato un anno difficile per il presidente Donald Trump, sotto due profili. Quello interno, con una corsa alle elezioni presidenziali di novembre che già allora prometteva un clima non meno divisivo di quello che ha accompagnato le elezioni di quattro anni fa. Su quello esterno, con quella che a tutti gli effetti si può oggi chiamare una nuova Guerra Fredda fra Stati Uniti e Cina, dal commercio alla sovranità tecnologica, dal confronto militare al braccio di ferro sugli alleati europei. Entrambi gli scenari si fanno più concreti con il coronavirus. Se già prima la fiducia nelle istituzioni americane era poca, figurarsi ora che la pandemia causerà ritardi, confusione, disinformazione nella corsa a novembre. Già quattro Stati, Georgia, Louisiana, Kentucky, Ohio, hanno rinviato le primarie. Saranno di più, e ora il rischio di un rinvio delle presidenziali non è più fantascienza. Un evento senza precedenti, spiega Eurasia Group. Richiederebbe “una legge che sia approvata da Congresso, presidente e corti”. Il piano B è sperimentare il voto online. Un banchetto allestito per i cyber-criminali: “Se si arriva al voto da remoto, gli attori maligni coglieranno una grande opportunità per far saltare il processo”. Il risultato? Da una parte e dall’altra i risultati saranno contestati, e “la corsa alle presidenziali sarà la più divisiva della storia moderna”.
Quanto alla sfida cinese, due le trincee che attendono Trump. Il “de-coupling” tecnologico, cioè la separazione delle filiere produttive fra Washington e Pechino, non farà che acuirsi, e allargarsi ad altri settori. Il Covid-19 ha già rivelato i rischi di una catena produttiva, quella farmaceutica americana, che per gran parte si poggia sulla produzione cinese. Ora le grandi multinazionali dovranno fare una scelta difficile: “Sposteranno definitivamente le filiere produttive dalla Cina” o “resteranno in Cina ma al prezzo di costosi esuberi”? L’altra trincea è la campagna diplomatica globale innescata dal Covid-19 e che la Cina sta portando avanti con energia soprattutto in Europa, e in Italia. “Stati Uniti e Cina sono in una nuova Guerra Fredda” sentenziano Bremmer e Kupchan. L’ex Celeste Impero, l’Italia insegna, “fornirà assistenza finanziaria e medica ai Paesi amici (inclusi sempre più alleati degli Usa) attraverso, dove possibile, la sua moneta e le sue istituzioni”. E, denuncia il governo americano, c’è il rischio che “i fondi emergenziali del Fondo monetario internazionale (Fmi) siano usati per ripagare alla Cina i debiti aderenti alla Belt and Road Initiative (Bri)”.
OMBRE CINESI IN EUROPA
Se tre mesi fa i rapporti transatlantici erano a rischio, ora lo sono molto di più. La società di Bremmer avverte: il coronavirus rischia di portare alla deriva la zattera Europa dall’isola cui è sempre stata ancorata, gli Stati Uniti. Trump ha le sue responsabilità: “La decisione di imporre restrizioni ai viaggi in Europa incoraggerà il percorso verso una maggiore indipendenza e acuirà le difficoltà transatlantiche”. Non ci sono buone notizie in arrivo. Se i leader europei riusciranno ad avere la meglio sul virus, “potrebbero chiedere una maggiore autonomia geopolitica”. Se falliranno a frenare la recessione economica, lo scenario è quello di un “decennio perso sulla scia del Giappone”. La crisi creerebbe un vuoto politico che la Cina è pronta a colmare. In questo caso, “una postura più aggressiva verso Pechino” sarebbe “poco plausibile”.
ADDIO STABILITÀ
La stabilità politica sarà la vittima prediletta del Covid-19, prevede Eurasia. In Medio Oriente, la morsa della pandemia su un Iran già instabile, il prevedibile rallentamento della ricostruzione in Siria e la guerra del petrolio che ha messo sull’orlo del fallimento l’Iraq rischia di trasformare i preesistenti equilibri. Non è una buona notizia per gli Usa: “Potrebbe essere una manna dal cielo per l’Isis e costringere gli Stati Uniti ad abbandonare la nave”. Traballa anche la Turchia di Recep Tayipp Erdogan: “I venti economici contrari e la defezione di diversi alleati dell’Akp verso nuovi partiti di opposizione” renderanno il sultano “un leader ferito e imprevedibile”. Per Ankara una sola consolazione: “Il crollo dei prezzi del petrolio abbasserà l’inflazione e colpirà i nemici della Turchia, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, più del Paese e del suo alleato, il Qatar”.
Nessun continente è immune. In Asia, i riflettori saranno puntati sull’India di Narendra Modi: finora ha gestito bene il virus con “un blocco draconiano” dei confini, ma ha una densità di popolazione più alta di quella cinese e può diventare l’anello debole del continente. “C’è inoltre il serio rischio che la disinformazione sul coronavirus sarà usata contro le minoranze e instillerà confusione, con una probabile ripartenza della violenza settaria”. Anche l’America Latina non può dormire tranquilla, perché “è una delle regioni meno preparate al mondo per il coronavirus”. Se l’instabilità del continente era considerata un problema a dicembre, ora è un problema enorme: complice il crollo del petrolio, “i bilanci fiscali peggioreranno, l’inflazione impennerà insieme all’odio contro i governi, i servizi pubblici collasseranno e gli investimenti diminuiranno”.
BRUTTE NOTIZIE PER GRETA
Qualcuno avvisi Greta Thunberg: il Covid-19 seppellirà l’ambientalismo 2.0. Ne sono convinti a Eurasia Group: “I Paesi useranno le risorse fiscali per politiche mirate ad ammorbidire l’impatto del coronavirus, e qualsiasi cosa resti sarà dedicata solo in parte ai progetti verdi”. Anche qui, il petrolio fa da game-changer: il crollo dei prezzi del greggio “minerà la competitività di risorse energetiche alternative più pulite”. Uno scenario che non farà piacere alla giovane attivista svedese, ma di sicuro non dispiacerà alle grandi multinazionali, che a dicembre Eurasia Group vedeva in grande difficoltà anche a causa dell’ondata green. Certo, il Covid-19 colpirà la catena produttiva. Ma se da una parte la regolamentazione sanitaria peserà sul portafoglio, dall’altra un drastico calo della regolamentazione verde darà respiro, e “con i governi consumati dalla crisi sanitaria, ci sarà poco spazio per una legislazione aggressiva sul settore tech”.