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Cosa succede se l’Europa lascia sola la Grecia contro la Turchia

Se l’Europa trema al pensiero di una nuova, importante, ondata migratoria, c’è un Paese che ci sta già facendo i conti ed è quello che ne aveva meno bisogno di tutti: la Grecia. L’Ellade sta pagando in prima persona l’arroganza e l’inaffidabilità della Turchia che proprio nei confronti di Atene ha compiuto l’ennesimo, forse meno noto alle cronache, ma non meno importante, voltafaccia.

Pochi giorni fa, infatti, una delegazione dei rispettivi ministeri della Difesa si era incontrata per abbozzare un piano di collaborazione su diversi aspetti, in primo luogo le innumerevoli e mai sanate dispute sulle acque territoriali e gli spazi aerei, ma anche la gestione delle migrazioni.

Ankara ha pensato bene di cancellare tutto con un colpo di spugna e aprire il confine, lasciando che non meno di 15mila persone, almeno fino a questo momento, si avvicinassero alla frontiera. Il confine con la Bulgaria, almeno per il momento, rimane chiuso, segno che il governo di Ankara sta cercando di convogliare il numero più alto possibile di persone verso l’Ellade. Una motivazione che può essere dettata da due motivazioni. La prima è che i rifugiati, in attesa di premere sul confine, possono temporaneamente stare a Edirne, una città grande, cosa che al confine con la Bulgaria non esiste. La seconda motivazione è che da qui parte la cosiddetta “rotta balcanica”, una strada che porta dritta al cuore dell’Europa, soprattutto in Francia e Germania, dove vuole andare la maggior parte dei migranti, che non sono solo siriani, ma anche pakistani e afghani. Però intanto attraversa la Grecia.

Kyriakos Mitsotakis è pronto a usare il pugno di ferro, costretto a fare da solo il lavoro più sporco di tutti: tenere chiuse le porte a migliaia di disperati che sognano una vita migliore. La Grecia, però, a differenza di molti Paesi europei, ospita già sul suo territorio decine di migliaia di migranti e, viste le sue condizioni economiche e il fatto che sta disperatamente cercando di riprendersi da dieci annidi austerity, non solo non può permettersi altri sforzi, andrebbe pure aiutata da quell’Europa di cui fa parte e alla quale per il momento sta togliendo le castagne dal fuoco.

In Turchia, intanto si fa come sempre propaganda e si cerca di levare di torno una presenza, gli oltre tre milioni di rifugiati, che, al netto dei discorsi umanitari ai quali ormai credono solo gli stolti o le persone in mala fede, è sempre stata usata, fin dal primo momento, come arma di ricatto. Prima per obbligare Obama all’intervento armato e poi per spillare soldi all’Europa o farla tacere davanti alle violazioni sempre più frequenti dei trattati internazionali e alla sua arroganza crescente nel Mediterraneo e in Libia. Il ministro dell’Interno, Süleyman Soylu, ha annunciato trionfalmente che a passare la frontiera sarebbero già stati oltre 40mila. Dato che però non ha trovato alcuna conferma ed è privo di ogni fondamento e così tanti zeri, da non poter essere giocato nemmeno al Lotto.

Istanbul e altre città sono piene di autobus, alcuni messi a disposizione dal governo stesso, che portano dritti a Edirne. Per gli altri, il prezzo dei biglietti è alle stelle e c’è chi si vende le ultime cose che gli sono rimaste per di afferrare quello che sembra il passaporto verso una vita migliore.

Non sanno che rischiano di rimanere intrappolati nei Balcani. Ieri Erdogan ha parlato a lungo al telefono con Viktor Orban, il premier ungherese, famoso per le sue politiche xenofobe e per fatto erigere il primo muro nel cuore dell’Europa, che ha reso l’Ungheria praticamente un fortino. Subito dopo la conversazione con il leader turco, Orban ha fatto rafforzare la frontiera con la Serbia. Se quindi i migranti dovessero riuscire a sfondare la barriera greca, se ne troverebbero davanti ancora molte altre, visto che ormai in tutti i Balcani sono state erette fortificazioni, dalla Macedonia del Nord alla Slovenia.

Il flusso di migranti rischia di stagnare proprio nell’Ellade e, visti gli orientamenti europei in materia, difficilmente verranno spostati da lì. Mitsotakis è consapevole di tutte queste cose, per tale motivo sta opponendo la più fiera resistenza. Sa che quando si è trattato di pagare Ankara perché tenesse i rifugiati sul suo territorio nazionale le obiezioni sono state poche. Ma adesso che si tratta di affrontare in modo strutturato e compatto un fenomeno che interesserà ancora per anni il Vecchio Continente, la Grecia è sola. Ancora più sola di quando rischiava di uscire dall’euro.



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