La riflessione sulla parola “reduce”, fatta dallo scrittore polacco Wlodek Goldkorn, mette in luce l’elemento dell’esperienza, traumatica e catastrofica, che a tale condizione si accompagna, il “reduce è colui che ha vissuto sulla propria pelle, la fine di un mondo, per ricominciare la vita e raccontare quello che gli era successo”.
Il reduce è quindi una persona che ritorna alla vita dopo “la fine di un mondo” ed è quindi portatore di un insegnamento del quale è doveroso fare tesoro.
Spesso nella Storia i reduci sono rimasti degli emarginati esclusi dalla società perché, dal punto di vista psicologico era terapeutico e conveniente dimenticare, mentre la loro stessa immagine ricordava distruzione e sofferenza oppure per convenienze politiche, in quanto escludendoli li si indicava quasi come responsabili della disfatta da cui essi stessi erano ritornati.
In tale modo si è spesso rinunciato a fare tesoro del loro bagaglio di esperienza e di insegnamento.
Alla fine dell’emergenza sanitaria del Coronavirus saremo anche noi dei reduci, sopravvissuti di un mondo che non esisterà più come lo avevamo conosciuto.
L’insegnamento che dovremo necessariamente imparare è quello della solidarietà tra popoli e tra le generazioni, lo stesso che ha portato alla nascita della Comunità europea prima e dell’Unione europea dopo ed è riconfermato nelle prime righe del Trattato di Maastricht.
Nel dibattito che affronta le soluzioni per la crisi economica post virus, sembra che alcuni Stati non abbiano imparato la lezione.
La proposta avanzata da Italia, Spagna e Francia relativa all’istituzione di “Coronabond”, titoli di debito unionali che venduti sul mercato possano finanziare gli Stati in difficoltà, ha spaccato in due l’Unione.
Ponendo sul fronte opposto Germania, Austria, Olanda e piccoli stati del nord che, opponendosi a tale ipotesi spingono invece per l’applicazione del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) con le condizioni draconiane che porta con sé.
L’atteggiamento tedesco ed olandese dimostra un forte egoismo ed è stato stigmatizzato da, Jacques Delors ex Presidente della Commissione europea e da Joschka Fischer – ex Ministro degli esteri tedesco, come fonte di grave pericolo per l’esistenza stessa dell’Unione.
Se in una situazione così terribile come quella attuale diversi Stati preferiscono non utilizzare il Mes è perché esso è stato costruito con una serie di privilegi “medioevali” come l’identità segreta dei suoi funzionari, l’immunità diplomatica, l’inttaccabilità dei suoi beni anche in condizioni di errore manifesto, ma soprattutto perché esso determina una macelleria sociale terrificante.
Per avere un esempio dell’applicazione delle condizionalità del MES si guardi cosa è successo in Grecia nel 2012 quando chiese di accedere alle misure di sostegno.
Le conseguenze, in particolare sul sistema sanitario sono state durissime e successivamente descritte nel rapporto del Consiglio d’Europa sulla Grecia elaborato nel 2018: innalzamento dei tassi di malati di HIV, impennata delle malattie mentali, sanità al collasso.
Il Commissario per i diritti umani Dunja Mijatovic dichiarò addirittura che in Grecia l’austerity violava i diritti umani.
Lo stesso Presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker riconobbe tardivamente che l’applicazione dell’austerity in Grecia “era stata troppo avventata”.
Il Mes per come è stato concepito oggi rischia di restare una cassaforte della quale l’Italia, pur mettendo ben 100 miliardi di euro, non avrebbe la possibilità di usufruire.
È diventata urgente la necessità di modificarne profondamente la struttura e renderlo davvero uno strumento di salvezza oppure utilizzarne le risorse a beneficio di strumenti finanziari innovativi, liberando l’ingente quantità di denaro che attualmente detiene.
La battaglia da fare a Bruxelles è quella di condurre tutti a rispettare l’impegno di solidarietà, tornando allo spirito unitario che animò i padri europei, De Gasperi ed Adenauer in primo luogo.
Ricordando ad alcuni che “l’unità dell’Europa era un sogno di pochi. È diventata la speranza per molti. Oggi è una necessità per noi tutti” firmato Konrad Adenauer.