Uno dei consiglieri del ministro degli Esteri iraniano, Javad Zarif, è morto per le complicazioni dopo essere stato contagiato dal coronavirus COVID-19. Hossein Sheikholeslam, ex ambasciatore in Siria e ora membro del gabinetto del ministro, è deceduto ieri; lunedì era toccata triste sorte a Mohammad Mirmohammadi, consigliere senior della Guida Suprema. Secondo gli ultimi dati, l’8 per cento dei parlamentari di Teheran sarebbe stato colpito dal virus.
L’Iran, dopo la Cina, è probabilmente il Paese dove l’epidemia è più diffusa, ma si usano termini incerti per parlarne perché da Teheran viene fatto filtrare molto poco. E anche l’Oms, che tiene il conto globale dei contagi perché è un elemento cruciale nel fronteggiare la crisi, si affida ai dati ufficiali e per certi versi brancola nel buio.
Nei giorni scorsi ha circolato molto uno studio effettuato dagli epidemiologi dell’università di Toronto – ripreso da New York Times, Wall Street Journal, Washington Post e BBC, in Italia dal Foglio – secondo cui in Iran ci sarebbe una quantità di contagiati circa cento volte superiore a quelli dichiarati della Repubblica islamica, e che dunque i morti sarebbero altrettanti. Si parlava di un valore credibile attorno ai 40mila, ma lo studio ha dati fino a febbraio e nel corso di questa prima settimana di marzo è logico pensare che i casi siano nettamente aumentati.
Tanto più che ci sono diverse figure della leadership che sono state colpite, e questo indica che se in un sistema chiuso come quello iraniano il virus è arrivato fino ai vertici della catena socio-politica (il viceministro della Salute, la vicepresidente per esempio sono stati contagiati), allora in giro ci sono migliaia di contagiati. Però la linea intrapresa dal governo di Teheran, e dettata dalla Guida Suprema, Ali Khamenei, è stata la seguente. Ignorare la crisi, sottovalutarla, sbagliare nel gestirla, incolpare il nemico per quello che sta succedendo. A partire dal far circolare le solite uscite propagandistiche su poteri anti-iraniani che hanno creato il virus per mettere in ginocchio la Rivoluzione.
Tra questi chiaramente gli Stati Uniti e Israele, e i nemici del Golfo sono in cima alla lista: ieri il comandate dei Pasdaran, Hossein Salami, ha detto pubblicamente che il nuovo coronavirus potrebbe benissimo essere opera americana, visto che prima si è diffuso in Cina e poi in Iran, due paesi nemici degli Usa. In realtà ieri il segretario di Stato americano, Mike Pompeo, ha proposto aiuto umanitario alla Repubblica islamica, che però avrebbe rifiutato.
Negli ultimi due giorni, dopo aver preso misure severe (oggi, per il venerdì di preghiera, sono state chiuse 60mila moschee), però il regime iraniano ha sostituito la crisi sanitaria con un’altra crisi. È un modo abbastanza tipico di agire dei sistemi autoritari, che incolpano sempre azioni del nemico dall’esterno in caso di problematiche interne. E poi cercano di alzare i toni su altri dossier per coprire le magagne che potrebbero portarsi dietro proteste tra la popolazione. Per esempio, le manifestazioni anti-sistema di novembre furono rese mute immediatamente chiudendo Internet, soppresse nel sangue e poi sostituite da azioni di disturbo in Medio Oriente.
Due giorni fa gli ispettori dell’IAEA hanno passato in anteprima al New York Times un report secondo cui l’Iran ha superato la soglia critica di quantità di materiale nucleare per produrre una singola bomba – sebbene gli servirebbero mesi, o forse anni, per farla. È la prima volta che questo avviene da quando l’amministrazione Trump ha deciso di lasciare l’accordo Jcpoa del 2015 dando a Teheran i presupposti per avviare violazioni controllate.
La situazione suggerisce che le azioni dell’Iran sono incrementali e calcolate per fare pressione sui governi europei e sull’amministrazione Trump, piuttosto che per creare una bomba. Le ultime cifre contenute nel rapporto riservato mostrano che, per la prima volta da quando è entrato in vigore l’accordo nucleare, il Paese ha superato i mille chilogrammi di combustibile all’uranio arricchito fino al 4,5 percento. Se ulteriormente arricchito, al 90 percento, è abbastanza carburante per produrre una singola arma nucleare, un passo che gli iraniani insistono sul fatto che non vorrebbero mai fare. Ma nel frattempo la crisi del coronavirus viene sostituita sui media internazionali da questo nuovo capitolo del dossier nucleare iraniano.