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Irene, obiettivo Libia. Ecco perché la missione Ue non sarà una passeggiata

Tra qualche settimana, probabilmente nella riunione del 23 marzo, i ministri degli Esteri dell’Unione europea dovrebbero dare il via libera alla missione che sostituirà Eunavfor Med-Operazione Sophia. Avrà un nuovo nome, Irene, e un compito principale: il controllo del traffico di armi alla Libia nel rispetto dell’embargo deciso a suo tempo dall’Onu. Il comandante della missione sarà il contrammiraglio Fabio Agostini, che da qualche settimana ha sostituito al comando di Sophia l’ammiraglio di Squadra Enrico Credendino, in carica dal 2015. Finora non è stata fissata un’altra riunione del Consiglio Affari esteri e il 31 marzo scadrà il mandato di Sophia dopo l’ultima proroga semestrale.

Molti aspetti decisivi sono ancora in discussione, tranne uno: se la presenza delle navi militari dovesse rappresentare un’attrazione per i barconi di migranti, il cosiddetto pull factor, i mezzi verrebbero ritirati. In quel caso resterebbero solo i mezzi aerei come ora e, proprio per evitare che i trafficanti ne approfittino, l’area di competenza è stata spostata verso Est rispetto alla rotta centrale che interessa l’Italia più direttamente. Non è detto che basti, ma trovare un accordo di massima tra gli Stati europei non è facile dopo che Sophia è stata “disarmata” dal governo Conte I e ridotta a semplice sorveglianza aerea, perché l’accordo del 2015 prevedeva che gli sbarchi dovessero avvenire solo nei porti italiani.

Controllare il traffico di armi verso una Libia in guerra sarà dunque lo scopo principale rispetto al contrabbando di petrolio e al traffico di esseri umani. Il compromesso europeo, per quel poco che si sa finora, presenta un paio di debolezze: va comunque preventivato che le navi militari si trovino nella condizione di salvare migranti in difficoltà e non è ancora certo se i porti di sbarco saranno a rotazione come chiesto dall’Italia e come probabilmente sarà; inoltre, se rendere ufficiale la sospensione della missione divenisse un pull factor, consegnerebbe ai trafficanti un’arma potente, perché sarebbe sufficiente intensificare le partenze per rendere vani gli sforzi europei. Anche per questo non ci sono ancora decisioni politiche e operative definitive, le regole d’ingaggio sono solo ipotizzate, non si sa quanti “assetti” (navi e aerei) metterà a disposizione ogni Stato e per esempio non si sa se bastano due barconi con 100 persone o se ne servono 2mila per fermare la missione.

La conferma del comando all’Italia comporta anche la conferma del quartier generale all’interno dell’aeroporto militare “Francesco Baracca” a Roma. Nella riunione dei ministri della Difesa dell’Ue tenutasi a Zagabria, Lorenzo Guerini ha discusso anche di Irene confermando che “sostituirà Sophia per contribuire ad attuare l’embargo delle armi in Libia”. Gli scambi di apprezzamenti tra il ministro e l’Alto rappresentante Josep Borrell sull’offerta di un comandante italiano e sul “patrimonio di esperienze” degli ultimi cinque anni sanciscono il fatto che almeno l’Italia ha mantenuto la guida di una missione europea ambita da altri, a cominciare dalla Francia.

Uno degli elementi da chiarire è se, nell’infinito ottimismo della diplomazia, saranno riproposte le successive fasi previste da Sophia, cioè l’ingresso nelle acque libiche (fase 2b) per fermare i mezzi dediti al traffico di esseri umani e poi (fase 3) la “neutralizzazione” dei mezzi e delle strutture dei trafficanti, con tutte le modifiche del caso trattandosi di una missione nuova. L’indispensabile richiesta libica non c’è stata fino all’inizio della guerra, ed è impossibile che ci sia oggi con tante “Libie” in guerra: prevedere la sola risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu per entrare nella competenza libica (acqua, aria o terra che sia) significherebbe un’evoluzione talmente negativa della crisi da costringere a un intervento militare europeo. Per ora è fantascienza, ma entro marzo molte cose dovranno essere chiarite.


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