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La (pericolosissima) sospensione del vincolo esterno

L’unanime risposta positiva alla sospensione del Patto di Stabilità e Crescita dovrebbe far sorgere qualche preoccupazione. Così come il favore con cui sono stati salutati gl’interventi massicci della Bce. Naturalmente ben venga la possibilità di rispondere con iniezioni di liquidità fiscale e monetaria ad un’emergenza sanitaria, che si sta trasformando in economica e sociale. Anche al di là delle condizioni di normalità, che sono evidentemente saltate in tutto il mondo. Purtroppo, specialmente in un paese come l’Italia, questa situazione è estremamente pericolosa. Provo a spiegarne le ragioni.

All’indomani del lockdown in Italia, quando appariva ormai chiaro che questa crisi non sarebbe stata asimmetrica, ma avrebbe impattato (anche se con tempi e ritmi diversi) tutti i paesi europei, probabilmente del mondo intero (come in effetti sta accadendo), mi era sembrato che la risposta migliore potesse arrivare non tanto da uno stimolo unicamente monetario, ma (soprattutto) da uno stimolo collettivo sul lato fiscale, a quel punto assistito dalla liquidità della Bce. Da qui il suggerimento di sfruttare la riunione dell’eurogruppo di lunedì scorso per utilizzare il MES (la cui riforma era prevista come primo punto all’ordine del giorno dell’incontro) come strumento più rapido per una reflazione fiscale collegiale, sia con uno sblocco di fondi già esistenti per affrontare l’emergenza, sia con un’emissione di titoli per agevolare la ripresa.

In prospettiva, suggerivo poi alla Commissione di presentare un nuovo documento di priorità sulla base del quale rinegoziare il bilancio europeo, in modo da tenere finalmente conto della necessità di finanziare beni pubblici europei aumentando le risorse complessive, soprattutto con l’attivazione di risorse proprie, in modo da finanziare quei beni pubblici senza far ricorso (o almeno diminuendone l’impatto) alla logica perversa dei contributi nazionali, che generano pericolosi rigurgiti nazionalisti, alimentando una retorica falsa e distruttiva.

La risposta dei governi europei è stata invece: lasciamo che ciascuno si faccia carico dei suoi problemi nazionali e costringiamo piuttosto: 1) la Bce ad intervenire per fornire liquidità a banche e Stati membri; 2) la Commissione a togliere qualsiasi sorveglianza macroeconomica sulla spesa.

In questo modo si ottengono tuttavia due effetti potenzialmente devastanti. Primo: nonostante l’allentamento (la scomparsa) dei vincoli di bilancio, i paesi dotati di maggiori risorse saranno in grado di reagire meglio rispetto a quelli con minori risorse, perché alla fine i debiti contratti dovranno essere restituiti. E questo è destinato, nel medio-lungo periodo, a far risalire gli spread, determinando un innalzamento del servizio del debito; naturalmente, sperando che sia l’unico effetto, perché se i mercati dovessero iniziare a porsi il problema che lo stock di debito italiano è diventato insostenibile, le conseguenze sarebbero ben più pesanti.

Secondo, per l’Italia il maggior pericolo è che le pressioni corporative all’aumento della spesa diventino incontrollate, anche a causa di una situazione politica precaria e predatoria. Che, cioè, una volta aperto il vaso di pandora della spesa pubblica, essa finisca per divenire incontrollabile, proprio sotto le pressioni delle rivendicazioni corporative finora tenute (parzialmente) a bada dal vincolo esterno. Non è un caso che la strategia di porre un vincolo esterno al nostro sistema economico e politico sia stata adottata dalla fine degli anni Settanta, in un momento di crescenti pressioni sociali e corporative. Rispondeva alla diffusa convinzione che fosse l’unico modo per ricondurre un paese altrimenti ingovernabile a comportamenti forzatamente responsabili.

Caduto oggi quel vincolo, occorre sperare che l’Italia, in questi 40 anni, sia cresciuta, diventata adulta e responsabile. I primi segnali non sono in questo senso confortanti. Sarebbe necessario: eliminare spese non orientate alla crescita ed alla promozione degli investimenti; promuovere un immediato ammodernamento della Pubblica Amministrazione, anche in una logica di raggiungimento dei risultati, piuttosto che di timbratura del cartellino, in modo da aumentarne l’efficienza ed incentivare lo smart working; investire in infrastrutture di servizio collettivo (banda larga su tutto il territorio nazionale, formazione del capitale umano, innovazione e ricerca, sanità, gestione del territorio, etc); ripensare i servizi, le infrastrutture sociali, territoriali e l’intera gamma dei beni pubblici in un’ottica strategica unitaria, possibilmente europea, anche se organizzativamente articolata su più livelli (dagli Enti Locali a salire).

Magari queste saranno le direzioni che prenderanno il governo e l’Unione nei prossimi mesi. Per adesso la UE lascia che ognuno si organizzi come crede, coperto dalla liquidità della Bce (ma c’è naturalmente ancora da sperare che intervenga a finanziare, col nuovo bilancio e/o con un titolo di debito collettivo, beni pubblici europei). E il governo italiano, incredibilmente, pensa all’ennesimo salvataggio di Alitalia, per quanto ancora priva di un piano industriale sensato, e ad altra spesa pubblica corporativa, consentendo ai vari gruppi di potere di tirare dalla loro parte una coperta divenuta improvvisamente ed insperatamente più ampia; ma che prima o poi tornerà a ritirarsi.

L’accantonamento del MES come strumento di espansione fiscale, con le sue condizionalità (magari opportunamente riviste) a favore del ‘bomba libera tutti’ della sospensione del Patto di Stabilità non è quindi affatto una buona notizia. E costringe la Bce, invece che ad operare in maniera sinergica con le istituzioni fiscali, a sopperire ancora una volta, con la politica monetaria, alle mancanze di una politica fiscale che riesce solo ad agire in maniera frammentata.

Il rischio per l’Europa è che non colga l’incredibile occasione che le si è presentata di ricostruirsi, rigenerarsi su fondamenta più solide ed efficaci, come soggetto protagonista nelle sfide globali per i propri cittadini e come attore di economia e politica internazionale.

Per l’Italia, il rischio è, prima o poi, di pagare tutto questo, compresi gli sprechi e le inefficienze di spesa che ci attendono nei prossimi tempi, con effetti patrimoniali devastanti ed una ancora più profonda, socialmente destabilizzante, iniquità distributiva.

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