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Covid-19, la propaganda cinese trova un (primo) ostacolo. L’Fbi…

L’operazione con cui il Partito comunicata cinese vuole rimodellare la storia della diffusione (e della formazione) del coronavirus passa anche da una stretta su quello che condividono i super controllati utenti online cinesi. Almeno da febbraio, la Polizia di Internet, unità che in Cina si occupa di censurare e controllare tutto quello che gli 800milioni di utenti fanno mentre sono connessi, ha iniziato a intercettare chiunque postasse messaggi critici o ironici su come il governo stava gestendo la crisi. In alcuni casi è arrivata a compiere interrogatori, forzare dichiarazioni di lealtà a Stato e partito, ritrattazioni pubbliche su quanto scritto.

Qualcosa di simile successe a Li Wenliang, il medico eroico che per primo denunciò, in una chat con i colleghi, che quelle strane polmoniti erano qualcosa di mai visto e potenzialmente devastante. In pochi giorni sarebbero diventate Covid-19, sindrome che poi avrebbe colpito anche Li, uccidendolo. Però prima era stato denunciato da qualche collega e messo sotto torchio dai servizi di sicurezza. Sorte simile è toccata a Li Zehua, ex giornalista di CCTV arrestato dai servizi di sicurezza cinesi mentre era a Wuhan per reportage sulla situazione.

Il lavoro di censura interna fatta dal gruppo operativo del Cybersecurity Defense Bureau del Partito serve a creare la sottostanza per la costruzione dell’impalcatura narrativa con cui Pechino vuol ricostruire la storia della pandemia. La Cina, colpevole di mancanze nella gestione iniziale della crisi sanitaria, sta lavorando incessantemente su questo revisionismo. In questo ambito si legano le iniziative di solidarietà all’Italia, sponsorizzate oltremisura con intento propagandistico; la rappresaglia contro i reporter dei principali media americani (espulsi dal paese, che ora avrà ancora più lati bui); la campagna di infowar contro per gettare contro gli Stati Uniti accuse sull’emergenza.

Oggi, in un’intervista concessa all’Associated Press, il segretario alla Giustizia statunitense, William Barr,  ha detto che l’Fbi sta indagando su attacchi informatici subiti in questi giorni dal dipartimento dell’Health and Human Services e su una campagna di disinformazione online per diffondere online notizie alterate e false sull’epidemia di coronavirus. Sostanzialmente il Bureau pensa che sia qualcosa di simile a quanto successe quattro anni fa con il piano russo per interferire nelle presidenziali. Un’operazione condotta dai rivali dell’America e finalizzata a creare un clima di sfiducia nelle istituzioni e destabilizzare l’opinione pubblica diffondendo argomentazioni divisive — che in parte sfruttano anche la lentezza con cui l’amministrazione Trump ha ingaggiato la crisi.

Washington ha iniziato ad alzare il livello contro l’epidemia sia per frenare la diffusione del virus sul proprio territorio sia per creare un contenimento politico contro l’avanzata propagandistica cinese e il tentativo russo di sfruttare spazi narrativi lasciati liberi dalla caotica risposta dell’Unione europea e del blocco transatlantico. I governi ostili all’Occidente stanno cercando di sfruttare la crisi per regolare conti e recuperare terreno, puntando l’obiettivo sopratutto sull’Europa – con un’operazione di guerra informativa complessa che tende a dividere l’Ue, dal Regno Unito e dagli Usa.

 


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