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Lockdown, quando uscirne? Il prof. Scandizzo ci spiega l’opzione di uscita

Mentre le misure di isolamento generale diventano progressivamente più stringenti, ci aspettiamo (e cominciamo a vedere) qualche segnale positivo a conferma del fatto che la strategia di contenimento comincia a funzionare. Se è così, dovremo chiederci sin d’ora, quando e come uscire dalla condizione di lockdown, e anche a quali condizioni, se necessario, riattivarlo.

Il blocco spinto, da un lato sembra produrre consistenti benefici di mitigazione dei danni e dei rischi dell’epidemia, dall’altro rischia di deteriorare in maniera progressiva l’economia determinando danni profondi. In maniera speculare rispetto alla adozione delle misure di contenimento, i governi fronteggiano oggi la opzione di uscire dalla strategia di isolamento generale, utilizzando soluzioni che contemplino una maggiore differenziazione delle misure di protezione e di distanza sociale, accompagnando la ripresa della produzione con una prima re-immissione di risorse economiche nel sistema. Questa opzione è, allo stesso tempo, una opzione di uscita dalla situazione di lockdown presente e una opzione di investimento in una situazione futura.

La opzione di uscita ha come costo il rischio potenziale di riattivare la virulenza della epidemia, con i costi di vite umane e di sofferenze individuali e sociali connesse. D’altra parte, essa ha come possibile beneficio la riattivazione dell’economia e la fine del disagio sociale attuale, dettato in gran parte dalla sensazione di impotenza a fronte di una catastrofe economica annunciata.

In condizioni di incertezza “dinamica” (ossia di cose ignote che solo il passaggio del tempo può rivelare) aspettare prima di agire è quello che l’analogia con le opzioni finanziarie suggerisce. Bisogna, ovvero, aspettare, prima di agire, fino a che l’informazione conseguita con il passare del tempo non riveli che le misure intraprese finora hanno avuto un successo sufficientemente alto e durevole da poter osare di cambiar regime.

Ma per cambiare regime, ancora una volta, dobbiamo bilanciare il dilemma di una scelta etica con una economica. Decidere come dosare il delicato equilibrio tra le misure di mitigazione e contenimento del virus con quelle di salvaguardia dell’economia. In altre parole, tra la vita delle persone e la vita delle imprese.

La ricerca di questo equilibrio sembra trovare un compromesso ragionevole nella sostituzione (non appena ve ne saranno le condizioni) del misure di contenimento drastiche, basate sull’isolamento generalizzato e la chiusura indifferenziata, con misure di isolamento selettivo e apertura differenziata. Quindi, un regime meno vincolante e più favorevole all’economia che necessita però di un contenimento dell’epidemia di tipo attivo, almeno nell’immediato più costoso, fatto di test sistematici, protezione delle categorie a rischio, tracciamento puntuale e isolamento rigido dei contagiati.

Affinché le misure di contenimento selettivo siano non meno efficaci dell’isolamento collettivo, occorre perciò passare dal regime attuale, pressoché interamente reattivo, ad un nuovo regime di tipo proattivo basato su un vasto dispiegamento di tecnologica sanitaria e di protezione sociale. Ma per giustificare il rischio di questo cambio di regime e rendere proficuo il nuovo modello di lotta all’epidemia, occorre allo stesso tempo uno stimolo significativo e duraturo in termini di investimenti per far ripartire l’economia attraverso l’immissione di liquidità nel sistema, un piano di investimenti pubblici mirati e rapidamente produttivi ed un set di misure di incentivo alle imprese in grado di mobilitare le necessarie risorse private. In assenza di misure di questo tipo, uno scenario verosimile è che il PIL continui a cadere a un ritmo insostenibile per ogni mese di paralisi dell’economia.

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