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Le interferenze cinesi si fanno più aggressive. Il report di Stanford FSI

Controllare il racconto e deviare le accuse sono i due obiettivi che il Partito comunista cinese sta cercando di raggiungere in queste fase della pandemia da coronavirus. Lo stiamo raccontando da alcuni giorni ormai su Formiche.net: come la propaganda cinese stia provando a distorcere la nostra percezione dell’emergenza e di chi in questa situazione critica ci è amico e come accusi altri Paesi – prima gli Stati Uniti, ora l’Italia – della nascita del virus.

Funzionale a questi due obiettivi è il grande apparato mediatico di proprietà della Stato e del Partito comunista cinese. In un articolo per il Cyber Policy Center del Freeman Spogli Institute for International Studies alla Stanford University, la ricercatrice Vanessa Molter ha come questo apparato stia manipolando il dibattito sul coronavirus. Particolarmente attivi sono i media di Stato in lingua inglese attraverso due social network: Facebook ma soprattutto Twitter, piattaforme vietate in Cina e raggiungibili soltanto tramite VPN, cioè le reti di telecomunicazioni private.

L’INGLESE COME ARMA…

Prendiamo il caso di CGTN, che su Facebook ha oltre 97 milioni di seguaci (la CNN un terzo). Come risulta dall’analisi di Ads Library di Facebook, le inserzioni hanno come obiettivi soprattutto India, Nepal, Bangladesh e Filippine. Ciò “suggerisce che l’inglese viene usato per comunicare le posizioni dello Stato a un vasto pubblico globale”, scrive Molter. 

Analizzando la narrazione di termini come “coronavirus” e “patient” (cioè paziente) si nota come il racconto tra media cinesi e statunitensi sia di segno opposto: se i primi raccontano con ottimismo (parlando, per esempio, di pazienti in trattamento o guariti) i secondi con pessimismo (cancro, malattia, collasso sono le parole più usate in relazione a “patient”). Basti pensare che se la Cnn ha raccontato il caso di un neonato infetto citando come fonte CCTV (una storia che nessun media di Stato cinese in lingua inglese ha riportato sulle sue pagine social), China Daily ha riportato l’episodio di un bambino nato sano da una donna infetta. Stessa cosa per quanto riguarda Li Wenliang, il medico eroe tra i primi ad aver denunciato la diffusione del coronavirus e morto poco dopo proprio per il Covid-19. Mentre le parole più legate a lui sui media statunitensi sono “silenziato” e “autorità”, sui media cinesi si parla di “oculista” e “condoglianze” senza alcun riferimento ai suoi sforzi per rivelare la pericolosità del nuovo virus e la successiva repressione delle autorità cinesi.

… E L’ATTACCO COME DIFESA

All’inizio della pandemia, nota Molter, la linea cinese era “senza di noi il mondo avrebbe dovuto affrontare una pandemia devastante”. Ma ora, che non è più difendibile, i media del regime stanno aumentando gli sforzi per fare della Cina il leader mondiale della risposta al virus e della governance efficace. Pensiamo alla propaganda sul modello Wuhan, che non ha riscontri empirici né offre garanzie viste le pratiche repressive del regime, come spiegato su queste pagine. In questa fase il racconto di Pechino è il seguente: “abbiamo fatto guadagnare tempo al mondo, la comunità globale ci deve essere grata” (riprendendo alcune dichiarazioni del vicedirettore generale dell’Organizzazione mondiale della Sanità, Bruce Aylward). A ciò si aggiungono le accuse – prima agli Stati Uniti, poi all’Italia – di aver scatenato il virus.

Neppure gli Stati Uniti sono immuni da tentativi di “adeguare la propria copertura” alla leadership, si legge nell’analisi del Cyber Policy Center dell’istituto fondato dall’ex ambasciatore staunitense in Italia Ronald Spogli. Il caso più eclatante è quello di Fox News, la rete vicinissima all’amministrazione Trump. Ma a differenza, di quanto accade in Cina, negli Stati Uniti il sistema mediatico è aperto. E così il Washington Post ha attaccato l’emittente definendola la “piastra di Petri della disinformazione”. Tuttavia, conclude la ricercatrice, anche molti media statunitensi cosiddetti moderati hanno minimizzato la minaccia. E più il coronavirus porta interrogativa alle democrazie occidentali, più il racconto di Pechino si farà aggressivo.



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